Trentanni, due nomination al Grammy, sette dischi (lultimo The Lovers the Dreamers and Me); la newyorkese Jane Monheit è una delle nuove regine del canto - a cavallo tra jazz e pop - che approda martedì e mercoledì per due doppi spettacoli al Blue Note.
Ha definito il nuovo cd lalbum della sua maturità.
«È il mio lavoro più completo, quello che sento più mio. Ora ho trentanni, un bebè da accudire e questo rende più emozionanti le mie canzoni. Proprio per questo ho allargato il raggio dazione toccando anche il pop».
Lei spazia dai brani di Ellington e Porter a quelli di Fiona Apple.
«Non cè contraddizione. Le mie radici sono nel jazz, amo il grande canzoniere americano ma sono una ragazza di oggi e ogni tanto mi piace confrontarmi con artisti che sono ancora in vita».
Il suo curriculum dimostra che lei ha studiato duramente per cantare.
«Da bambina ho studiato alla Usdan Creative and Performing Arts e mi sono diplomata con Peter Eldridge alla Manhattan School of Music. Ho sempre studiato duramente e vinto premi importanti come quello al Thelonius Monk Institute Vocal Competition».
Quanto le è servito lo studio sul palco?
«È la base, poi con la fantasia si danno le proprie coloriture alle canzoni, si improvvisa, insomma si entra nelle viscere del jazz».
Lei ha collaborato con Terence Blanchard e cantato con una star come Michael Bublé; dove vuole arrivare?
«Amo le collaborazioni; Blanchard è uno dei maestri del jazz contemporaneo e Bublé un fenomeno del canto. Questi incontri mi arricchiscono e mi danno la forza per proseguire la carriera solista. Sul palco da sola mi confronto davvero con me stessa».
Sempre con il suo trio.
«Certo, con amici fedeli come Michael Kanan al piano, Nela Miner al basso e mio marito Rick Montalbano alla batteria. Laffiatamento è fondamentale e noi siamo una famiglia.
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