Ma è proprio vero che la Germania è tornata a essere la «locomotiva dEuropa» dellenfatica, e un po logora, definizione giornalistica rispolverata negli ultimi tempi? La sensazione, in realtà, è unaltra: leconomia tedesca corre, ma da sola. Non aggancia, o traina, altri vagoni. Il suo passo è garantito (dopato?) dallexport, non dai consumi interni che continuano a languire. Di questa doppia velocità non cè tuttavia traccia nella percentuale di crescita del suo Prodotto interno lordo. Ieri lultimo rapporto dellOcse ha collocato lespansione di Berlino al 3,7% tendenziale (+2,2% sul trimestre precedente), meglio dunque del 3,2% degli Usa (+0,6%) e dell1,1%% dell'Italia (+0,4%).
E a proposito di classifiche, cè da dire che, ormai, soffriamo di bulimia statistica. Alimentata quasi quotidianamente, a turno, oltre che dallOcse stessa, dal Fmi, dalla Banca Mondiale, cui si aggiungono poi la Fed e la Bce, quindi Eurostat e Istat, giù giù fino alle agenzie di rating e agli uffici studi delle banche. Un tourbillon di numeri spesso in contraddizione con quanto diffuso magari solo un paio di mesi prima, in un rovesciamento continuo di scenari che condiziona, a volte anche pesantemente, i mercati. Quasi nessuno sembra accorgersi che questo sforzo inesausto di monitorare lo stato di salute economico del pianeta è affetto da un peccato capitale: quello di fotografare il passato.
Cifre sul secondo trimestre come quelle diffuse ieri dallOcse non dovrebbero invece interessare più a nessuno, soprattutto se il quadro congiunturale non si è affatto stabilizzato ma, al contrario, va deteriorandosi. Lallarme della Fed e la forte prudenza espressa dalla Bce nelle ultime settimane sul rallentamento della crescita nel secondo semestre, dovrebbero quindi essere almeno sufficienti per evitare celebrazioni sulla Germania über alles. Se si chiude il rubinetto della domanda internazionale, Berlino rientra nei ranghi.
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