Anatole France non può certo accompagnarsi ai nostri amici liberali: socialista, talvolta con venature bolsceviche, il premio Nobel per la letteratura è però dotato di una vena libertaria. Per questo, oggi, ci permettiamo di consigliare un libricino, Crainquebille , edito, con qualche buona ragione, da LiberiLibri. Come leggiamo nelle nota dell'editore: «C'è una forma di violenza che è al riparo delle leggi e che ripugna alla coscienza di ognuno, la violenza legale, il sopruso compiuto in nome della legge». La nostra storia è proprio il racconto di una prevaricazione legale: si tratta della tragica avventura di un fruttivendolo, squattrinato, che finisce grottescamente nelle maglie della giustizia. È il racconto del suo breve processo e della sua ingiusta condanna. «Il suo arresto fu accolto dalle risa dei commercianti e dei ragazzini. Esso accontentava il gusto che tutte le folle umane provano per gli spettacoli ignobili e violenti». Ne sappiamo ben qualcosa: lo vediamo in quel diffuso compiacimento giustizialista che ci sommerge ormai da diversi lustri.
Il nostro Crainquebille è la scusa per raccontare in un formidabile capitoletto la logica perversa per la quale il presidente Bourriche lo condanni nonostante la sua palese innocenza. La logica del presidente è che «la giustizia è la sanzione delle ingiustizie stabilite. La si è forse mai vista opposta ai conquistatori e contraria all'usurpatore? Quando si erige un potere illegittimo la giustizia non ha che da riconoscerlo per renderlo legale». La storiella termina con la descrizione della riprovazione sociale che subisce il condannato e con una beffa. Il povero fruttivendolo, demoralizzato, ubriacone, senza un franco in tasca, cerca di farsi riarrestare per ottenere almeno un giaciglio dove dormire. Niente da fare: la giustizia tanto spietata nella sua prima avventura, si mostra ora irragionevolmente comprensiva e per Crainquebille velenosa.
L'edizione è impreziosita da una postfazione di Carlo Nordio, un magistrato che, a differenza dell'autore, ha un forte Dna liberale. Scrive, il giudice: «Il magistrato è investito di due poteri. L'uno quasi divino, il giudicare il suo prossimo. L'altro più immediato e cruento, di incidere sulla sua libertà con la cattura, e sul suo onore con la stampa. Non dovrebbe limitarsi a rispettare le leggi.
Dovrebbe rispettare la dignità e i sentimenti altrui. E dovrebbe avere coraggio: soprattutto quello, assai difficile e raro, di essere umile. Anche perché i cittadini si fidano sempre meno di lui». Abbiamo poco da aggiungere.
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