nostro inviato a Genova
Il Milan non è il Palermo e Berlusconi (con Galliani) non è Zamparini. Perciò il secondo buco nell'acqua consecutivo della famosa compagnia di Palloni d'oro (tre tutti insieme schierati ieri pomeriggio a Genova nel primo tempo) non provoca quel che molti cominciano a ipotizzare. E cioè Ancelotti mandato via, come un qualunque Colantuono, impallinato alla seconda sconfitta. «Io credo alla società che sta facendo di tutto per mettermi nelle condizioni di lavorare serenamente» risponde Carlo Ancelotti che ha lo sguardo tenero e il cuore indurito dagli eventi clamorosi che gli succedono sotto gli occhi. Berlusconi, anzi, ha telefonato al tecnico subito doipo la partita per rincuorarlo. «Mi ha detto di stare tranquillo, i problemi li risolveremo». A disposizione resta la squadra che ciascun tifoso del Milan sogna per l'estate: i campioni stagionati di una volta, la difesa puntellata dagli arrivi di Zambrotta e Senderos, arruolato appena c'è notizia degli acciacchi di Nesta, e poi Flamini che è una risorsa per il centrocampo super spolpato, e in avanti una gemma su tutti, Ronaldinho, portato in dono dal presidente Silvio Berlusconi ai suoi tifosi. «Per rispettare l'impegno preso» fu la spiegazione didascalica dinanzi alle incertezze costituite dal suo recente passato a Barcellona e dalle prestazioni a Pechino, con l'olimpica brasiliana.
Certo, in più, una specie di omaggio non atteso, Shevchenko che nell'elenco prende il posto del baby Paloschi mandato a Parma a maturare. Non può essere, come si capisce al volo, un problema: semmai non sposta granchè il valore dell'attacco che sulla carta, e solo sulla carta, resta il reparto boom. E invece niente: 1 gol dopo 180 minuti e degli attaccanti, famosi e non, nessuna traccia. «Mi sento male a vedere quella classifica» ammette a un certo punto Ancelotti, rinfrancato e rimesso in sella proprio da Adriano Galliani, il vice-presidente esecutivo rimasto in silenzio fino a ieri pomeriggio, a Genova, per non turbare il clima della squadra e non distrarre il manovratore in azione.
Adesso, chi difende Ancelotti non per stima nei suoi confronti ma per la voglia matta di "contestare" il mercato della società e le scelte del presidente Berlusconi (c'è anche nel calcio l'anti-berlusconismo, naturalmente), sostiene che Ronaldinho non fu una scelta dell'allenatore. Vero, verissimo anzi. Il gradimento riservato ad Adebayor è cosa nota a tutti, in particolare agli addetti ai lavori del calcio-mercato. Eppure Carletto, che è un aziendalista convinto, oltre che un dipendente fedelissimo, nega il tutto davanti ai microfoni di Ilaria D'Amico. «No, Ronaldinho è arrivato col mio consenso» è la risposta che mette fine a un finto dibattito. Perchè il problema del Milan in questo momento non è certo l'assenza di Adebayor o la presenza di Ronaldinho. I tormenti del Milan sono quelli noti: condizione fisica indecente, pochi giorni a disposizione per lavorare con tutto il gruppo, e non ancora trovata una formula tattica convincente che metta insieme, in modo efficace, le prime donne e gli invincibili di una volta, Seedorf per esempio finito in panchina a Genova.
«Mi è mancato solo del tempo per lavorare» è la frase ripetuta come una litania da Ancelotti anche qui, a Genova, dinanzi alla seconda frustata che in qualche modo scolora quel passato prestigioso, quel petto pieno di medaglie e di coppe, guadagnate sul campo, da Manchester a Yokohama. «Non c'è alcun rischio di esonero per Ancelotti» la garanzia scritta e orale di Adriano Galliani che non è Zamparini e anzi, segnala, proprio per aver fatto sempre il contrario delle abitudini dell'ambiente, può esibire una sala dei trofei così ricca, come capita di vedere a qualche visitatore in via Turati.
Ma quanto tempo ha a disposizione Ancelotti? Basta dare un'occhiata al calendario per capire e stabilire che la prossima sfida con la Lazio (anticipata dal debutto malinconico in Uefa contro lo Zurigo) può essere già un bivio, crudele. Nell'attesa che gli appuntamenti con Reggina e Inter, a fine settembre, definiscano il destino dell'uomo predestinato a vincere e anche a pagare il conto del fallimento attuale.
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