La strada è di tutti. Ma non tutti sono per la strada: bisogna meritarselo, quel teatro a cielo aperto, location accogliente di estri, talenti, fantasie, esibizionismi. Giullari e artisti, saltimbanchi, mimi e artigiani senza bottega, con i tempi che corrono diventano quasi imprenditori senza fissa dimora, vagabondi parcheggiati per poche ore sugli spigoli dei mercatini rionali: bassa finanza e alta manovalanza, giusto per dare un’aggiustatina al personalissimo spread in bilico tra il pranzo e la cena. Accade ovunque, da Calcutta a Milano, da New York a Buenos Aires.
Ma in Francia, ex patria della triade «Liberté, Égalité, Fraternité», per la precisione a Parigi, anzi, nientemeno che a Montmartre, in Place du Tertre, i capoccia del XVIII arrondissement hanno deciso che metter giù il cavalletto, approntare la tavolozza e dipingere è un privilegio da riservare a pochi. Chissà come si dice plateatico in francese? Ma, a pensarci bene, non è molto importante l’occupazione temporanea del suolo pubblico. È più importante l’occupazione permanente del gusto pubblico: stabilire quel che è bello da quel che non lo è. Storia vecchia almeno quanto la storia dell’arte. Intanto, lo spirito bohémien vada pure a farsi benedire al Sacré-Cœur: quel metro quadrato scarso di nobile asfalto occorre conquistarselo con un autentico concorso. Il prossimo 2 aprile una quarantina di artisti si contenderanno ben sei posti. In un’ora e mezza i paesaggisti dovranno realizzare una natura morta e i ritrattisti due modelli. Poi i nomi dei candidati saranno inseriti in una busta chiusa e le buste saranno aperte dai giurati solo dopo l’assegnazione dei voti. Le postazioni (che costano 500 euro l’anno) sono 149, gli aspiranti 298. «Les jeux sont faits, rien ne va plus». Nel conquistare un angolo di liberté, non vale il principio dell’égalité, né, vista l’agguerrita concorrenza, la fraternité... Fra l’altro da due anni le condizioni di accesso alla piazza sono diventate più strette: ogni pittore autorizzato deve esporre un tesserino con foto ed è tenuto a realizzare le proprie opere esclusivamente sul posto, a garanzia di autenticità.
«Abuso», ecco la parola chiave che rischia di inchiavardare le speranze dei «prestatori d’opera» ambulanti. Abuso e «regolamentazione dei flussi», inseguiti pedibus calcantibus, come se si trattasse di clandestini. In effetti, clandestini sono tutti i praticanti dell’«arte d’arrangiarsi». Pensiamo, per tornare a casa nostra, a quei particolari «figuranti» del pervasivo set romano che sono i centurioni e i gladiatori nei pressi del Colosseo. La proposta di istituire un albo, con tanto di patente, per i migliori amici dei giapponesi in cappellino bianco, ha scatenato la polemica intorno al «corredo archeologico» di Roma capoccia. In passato, stessa musica, con qualche stonatura, a proposito dei «madonnari». Senza elmi e scudi, armati soltanto di gessetti colorati, loro vivono rasoterra. Come potrebbero elevarsi al rango di commercianti, magari con partita Iva e registratore di cassa?
E i mimi, gli attorcigliatori di palloncini, le statue viventi ma immobili... Anche loro saranno chiamati, un giorno non lontano, a far testare il loro X Factor per non sloggiare?
Ma la strada non era di tutti? No, non tutti sono per la strada. Forse il vero, civile discrimine sta nella (come si diceva una volta) fruizione della proposta. Cioè dal fastidio o dal piacere del pubblico, del passante distratto, del flâneur, della casalinga non disperata ma indaffarata, della tata che va a ritirare i bambini a scuola. Il giudizio della strada è insindacabile: tu non pesti i piedi a me, io non li pesto a te.
È il mercato, bellezza? O è la bellezza che si trucca per andare al mercato?
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