Henry: "All'Udinese mandateci Del Piero"

A fine stagione 1999 il fuoriclasse francese, appena 21enne, viene chiuso in una stanza con Moggi e Ancelotti: "Devi andare in prestito, vogliamo Marcio Amoroso". Le cose finirono diversamente

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Esce dal campo sudato fradicio. Malgrado quel ruolo che non riesce proprio a sentire suo, il finale di stagione è andato in crescendo. Tre gol, qualche assist disseminato qua e là e l'impressione di poter saltare gli avversari con una naturalezza disarmante. Sulla schiena porta un atipico numero 6 - è la stagione in cui la Juve compie la scellerata scelta di colorarli di rosso, rendendoli illeggibili - ma comunque è anomala anche quella posizione lì, perché Carlo Ancelotti pretende che parta troppo da lontano, troppo defilato. Thierry Henry, che è approdato alla Juve da appena un anno ed ha già visto Marcello Lippi rassegnare le dimissioni, storce il naso. Così, tanto vale che lo metta terzino. D'accordo sprigionare quella progressione, ma che ne è della possibilità di puntare alla porta? Un potenziale campione anestetizzato da un improvvido recinto tattico.

Comunque la stagione è finita. Da qui in avanti si vedrà. Henry esce dal campo, si diceva, ma non fa in tempo a guadagnare le docce. Lo ferma Luciano Moggi che - come ha raccontato il campione molti anni più tardi - lo prende sotto braccio e lo trascina verso una stanzetta. "Vieni con me, ti devo dire una cosa urgente". Così urgente che Titì non può nemmeno andare a cambiarsi. Moggi chiude la porta dietro di sé. Nella stanza è già seduto l'allenatore, Carlo Ancelotti.

"Senti, vogliamo prendere Marcio Amoroso dall'Udinese - va dritto al punto il direttore sportivo - ma non ce lo danno se tu non vai in prestito da loro". Segue una manciata di secondi raggelanti. I volti sono tirati, tappezzati da un inevitabile imbarazzo. Henry non dice nulla, anche perché non gli vengono le parole giuste. Ha appena 21 anni, tutto ancora da fare e un potenziale ancora largamente inespresso. Moggi si accorge della delusione che erompe candida dalle pieghe del viso del ragazzo e tenta di rassicurarlo.

"Ma abbiamo fiducia in te, guarda che poi ti riprendiamo".

"Bella fiducia", replica Titì. A quel punto anche Ancelotti prova a convincerlo. Di sicuro tra i due ci sono divergenze profonde circa il modo di intendere il calcio, ma il francese pensa davvero di meritarsi la permanenza alla Juventus. Così si alza in piedi, li fissa a turno e aggiunge: "Voi avete fiducia in Del Piero?".

"Certo che sì", risponde Moggi.

"Bene, allora mandateci lui all'Udinese". Una manciata di parole che affondano come una lama. "Ero terribilmente giovane e stupido - dirà in seguito Henry - ma alla fine è andata bene, no?". Thierry non ha però finito di lanciare il suo carico. Si toglie la maglia e aggiunge: "Non la indosserò mai più". Il resto è storia.

Il francese passa al'Arsenal di Wenger, che lo convince di quello che lui aveva sempre sospettato: è un attaccante. Nella sua nuova posizione, scriverà la storia dei Gunners, diventando un giocatore monumentale.

Quel giorno di fine campionato Moggi e Ancelotti commisero uno degli inciampi più assordanti delle loro carriere. Un rimpianto che la Juventus vive ancora oggi, alla luce del fuoriclasse totale in cui Titì si sarebbe poi trasformato. In fondo, serviva soltanto un po' di fiducia in più.

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