
Caro Direttore, ho letto con stupore e ammirazione una notizia proveniente dal Sol Levante, che dovrebbe farci riflettere. Il Giappone ha superato quota 95mila centenari, un record mondiale. Un popolo che invecchia, sì, ma con grazia, dignità e salute. E allora mi sono chiesto: perché lì si vive così a lungo e così bene, mentre da noi l’età si allunga, ma la qualità della vita sembra accorciarsi?
Mario Esposito
Caro Mario, nel Paese del crisantemo la longevità non è un caso, è una scelta, un sistema, una cultura. Non si vive a lungo per miracolo genetico, ma per disciplina, parola oggi desueta in Occidente, dove tutto dev’essere fluido, destrutturato, improvvisato. In Giappone, si mangia poco e bene: verdure, pesce, riso, legumi, pochissimo zucchero, zero abbuffate. Si segue l’antico principio dell’hara hachi bu, che non è una parolaccia, significa “alzarsi da tavola quando si è pieni all’80%”, cosa che pratico anche io da decenni, anzi, io mi fermo anche al 60%. Dalle nostre parti, invece, il culto è quello del “me ne frego e faccio il bis”, anche il tris, col risultato che oltre un terzo della popolazione è sovrappeso. E sovrappeso e obesità si traducono in problematiche di salute. Lì si cammina, si fa giardinaggio, si piegano le ginocchia ogni giorno e non per fare yoga su Instagram, ma per coltivare un orto, sistemare la casa, vivere il presente. Qui ci si schianta sul divano davanti alla tv e, quando la vecchiaia arriva, ci si lamenta. Ma il dato più impressionante è un altro, a mio avviso. Il Giappone venera i suoi anziani, li tiene in alta
considerazione, anzi, diciamo pure che li pone su una sorta di piedistallo sociale. Esiste un’intera festa nazionale per celebrarne la saggezza, cosa che da noi non esiste, noi li maltrattiamo. In molte zone rurali, le comunità si riuniscono regolarmente in gruppi di sostegno, in cui ciascuno è responsabile dell’altro. Un vecchio non è considerato un peso, ma una radice. Non è un rottame, ma una biblioteca vivente, da cui attingere sapere, sapienza, consigli, esperienza. E l’Italia? Ebbene, qui la situazione è desolante, e questa non è una percezione, a parlare sono le statistiche. Secondo i dati Istat, oggi abbiamo oltre 21mila centenari, il che ci colloca tra i Paesi più longevi del globo, subito dopo Giappone e Francia. Ma basta guardare un po’ più a fondo per capire che si tratta spesso di una longevità solitaria, triste, marginale, priva di qualità della vita.
Perché dico questo? Oltre il 13% degli over 65 campa completamente solo. Il 14% degli anziani non ha nessuno a cui chiedere aiuto, contro una media europea del 6%. E come se non bastasse, il 38% dei suicidi annuali in Italia è compiuto da persone sopra i 70 anni. Sono numeri che non fanno rumore, eppure costituiscono un grido disperato. Sono i vecchi che non reggono più il peso dell’invisibilità. Sono i nostri padri, le nostre madri, che una volta tenevano unita la famiglia e ora vengono trattati come soprammobili polverosi. Un tempo, l’anziano era il perno del nucleo familiare. Viveva con figli e nipoti, trasmetteva sapere, consigliava, raccontava storie. Oggi è stato espulso dal racconto collettivo. Non espelliamo clandestini, ma espelliamo anziani. Visto come un ingombro, non una guida. La nostra è diventata una società che glorifica l’avvenenza, la giovinezza compulsiva, i filtri di Instagram e i ritocchi estetici. Un mondo in cui tutto ciò che non è giovane viene ignorato, se non deriso. Forse dovremmo smettere di guardare ai Paesi nordici come modelli da emulare, e rivolgere lo sguardo a Est. In Giappone si campa a lungo perché si rispetta la tradizione, perché si vive in comunità, perché ci si prende cura del corpo e dell’anima, senza dover postare ogni pranzo su TikTok. Perché il vecchio, lì, non è mai solo. Mai. Il conservatorismo allunga la vita.
Abbiamo imboccato l’autostrada del narcisismo e ci siamo dimenticati chi ci ha cresciuto. Abbiamo sostituito il «nonno, raccontami una storia» con «Alexa, dimmi com’era la guerra».
Vogliamo vivere più a lungo? Bene.
Cominciamo col restituire rispetto a chi c’era prima di noi, con ritrovare il senso della comunità, con rieducare le nuove generazioni all’ascolto e non soltanto al consumo. E magari, ogni tanto, invece di scappare dall’idea di invecchiare, potremmo imparare ad accoglierla con gratitudine. Come fanno i giapponesi, con disciplina e dignità.