Anche un diktat islamico all’Italia «Ecco le condizioni per il perdono»

Fini: «Quella di Calderoli è stata solo una leggerezza. Il governo D’Alema invece ospitò volontariamente il terrorista ricercato in Turchia». La Quercia: «Falso»

Luciano Gulli

nostro inviato a Como

Ci vuole rispetto, certo. E molta tolleranza, va da sé. Perché la situazione è delicata. Delicatissima. E un sarcasmo fuori luogo; il pedale dell'ironia schiacciato con spensierata disinvoltura potrebbe portare a nuovi sconquassi, a rinnovate crisi isteriche. E Dio sa se ce n'è bisogno, col dottor Bin Laden & Associati (maiuscoli anche loro, mancherebbe) che ci guardano e ci giudicano.
Ma anche a cospargersi il capo di cenere, e rinunciare a farsi lo shampoo da qui a Natale, è difficile restar seri davanti alla «ricetta» (la parola è sua) di Safwat El Sisi, portavoce della comunità islamica di Como. Per chiudere l'antipatica questione delle vignette di Maometto («Muhammed, prego. Nella parola Maometto c'è un che di spregiativo di origine medievale») il signor El Sisi, architetto di mestiere, egiziano d'origine, anni 60, in Italia da 40, prescrive i seguenti passi:
1) scuse pubbliche degli italiani a tutti i musulmani.
2) sanzioni penali per i direttori dei giornali che hanno pubblicato le malaugurate vignette (par di capire che qualche settimana di carcere, anche con la condizionale - non essendo previste dal nostro ordinamento le nerbate sulla pubblica piazza, o il taglio della mano blasfema - potrebbe bastare. È il principio che conta).
3) Introduzione di una norma legislativa che tuteli i musulmani e il culto del Profeta.
4) Spazi sui principali quotidiani italiani (ma mica una notizia francobollo ogni tanto. Ci vuole una pagina intera per almeno quattro mesi, meglio un anno, con cadenza bisettimanale) affinché i musulmani possano spiegare agli italiani, con tutto il bell'agio che la materia merita, la figura e il pensiero di Maometto.
Ordini? O consigli?
«Consigli, consigli, ci mancherebbe», declina il signor El Sisi, il volto massiccio incorniciato da una barba regolamentare sale e pepe. Da dicembre, da quando l'imam di Como Snoussi Ben Assine è stato rispedito dalle nostre autorità di pubblica sicurezza a Tunisi come persona non grata («Una brava, bravissima persona», obietta il nostro, esecrando l'iniziativa) l'architetto El Sisi è il portavoce della comunità islamica comasca: 5mila anime, provincia compresa.
Lei parla di consigli. Ma a giudicare da ciò che si è letto sembravano prescrizioni. E non uso la parola ricatto perché poi non si dica che i giornalisti esagerano.
«Sono stato frainteso. Io dico solo questo. Abito in questo Paese da quarant'anni. Amo l'Italia. Conosco i sentimenti della sua popolazione, la cultura, i valori. Ma c'è un ma».
Sarebbe?
«Che non devi ficcare il naso nelle mie credenze. Il Profeta, il Corano, Allah, Gesù, il Vangelo, la Bibbia, Abramo non devono essere toccati per nessun motivo. Perché la mia libertà finisce dove comincia la tua. E ogni buon musulmano preferisce immolare la sua vita piuttosto che vedere offesa la figura del Profeta».
Il premier Berlusconi, parlando alla Tv Al Jazeera, ha detto che quelle vignette sono da condannare, perché hanno nuociuto ai sentimenti dei fedeli. Il vice primo ministro Fini è andato pellegrino alla moschea di Roma. Due gesti di distensione importanti, non crede?
«Sì, ma le scuse formali non bastano. Per completare l'opera, soprattutto all'estero, ci vuole una maggiore diffusione del messaggio del Profeta. Ed esperti veri. Non gente come quel sedicente esperto del Corriere della Sera, che di Islam non capisce nulla. Gente che spieghi, che diffonda la parola del Profeta».
Perdoni l'osservazione puerile. Ma lei sa che in molti Paesi islamici è perfino vietato, ai cristiani, dir messa...
«Sciocchezze. Eccezion fatta per l'Arabia Saudita...».
E in Sudan? In Nigeria, dove i cristiani hanno pagato con la vita per certe vignette sceme pubblicate a Copenaghen? A Kabul, dove una volta abbiamo detto messa all'ambasciata italiana, perché fuori sarebbe stato sacrilegio?
«Ma no. Lì c'è qualcuno, chissà, forse Satana, che semina zizzania».
Concludendo: lei ribadisce la sua «ricetta»?
«Sì. Posso perfino accettare che i direttori dei giornali non siano puniti. Ma per riparare devono offrire due spazi settimanali, per un anno intero, ad autorevoli esperti di cose islamiche, per spiegare al popolo italiano la verità dell’Islam e del Corano».
A proposito. Se la sente di escludere che in Italia possano esserci problemi di ordine pubblico a seguito di quelle esecrande vignette?
«Sì, lo escludo».
Ecco. Questa è l'intervista. Per esprimere i succitati concetti, il signor El Sisi ha impiegato circa seicentomila parole.

Spero che la sintesi non gli dispiaccia troppo. Al termine dell'intervista, dopo quel suo «Sì, lo escludo», avevo chiuso con un fantozziano «Come è buono lei, signor portavoce». L'ho cancellato. Capaci di scambiarlo per un sarcasmo.

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