Anche i ragazzini vengono arruolati tra i partigiani

L’associazione che riunisce i partigiani d’Italia, ha abolito la carta d’identità. Non importa aver fatto la guerra di liberazione. Per diventare socio l’importante è essere "antifascista"

Bisognava inventare qualcosa prima che i panda si mobilitassero per salvare i partigiani dall’estinzione. Più che il buco nell’ozono o la cattiveria dell’uomo avrebbe avuto buon gioco la carta d’identità, e così l’Anpi, l’associazione che riunisce i partigiani d’Italia, ha abolito la carta d’identità. Non importa aver fatto la guerra di liberazione, vale anche chi il fucile l’ha imbracciato solo al tirassegno della festa dell’Unità. Per diventare socio l’importante, lo dice lo statuto riveduto e corretto alla bisogna, è che si riconoscano «i valori fondanti dell’Anpi», cioè essere «antifascista». E pagare la tessera, naturalmente. Perché salvare l’Anpi significa salvare i fiumi di euro che arrivano dalle casse pubbliche. Così dal congresso nazionale del 2006 l’Anpi ha potuto invertire la tendenza, cercando di non chiudere più le sezioni per l’elevato tasso di mortalità.

Non che fosse sufficiente cambiare lo statuto per fare soci. Ecco perché si è sempre più accettato che le sedi diventassero circoli ricreativi, veri e propri dopolavori con annessi ristoranti, club sportivi, scuole di arti orientali. Un partito ombra, per dirla con un’espressione cara a Walter Veltroni. Al punto che all’Anpi ora vanno persino strette le feste di borgata e le salsicciate fuori porta. Se il Pd ha ereditato la Festa dell’Unità, da quest’anno anche i partigiani si sono fatti la loro bella «Festa nazionale». Dal 20 al 21 giugno a Gattatico, provincia rossa di Reggio Emilia, l’appuntamento è al museo-casa Cervi. «Una grande e bella novità per la nostra associazione», è stata la benedizione impartita da Tino Casali, presidente nazionale Anpi, uno dei partigiani originali, sempre più minoranza.

Il fil rouge della festa? Sempre quello: come tirare avanti. «Il significato dell’essere partigiani oggi», naturalmente. E quindi fare attenzione all’«analisi della comunicazione, tra circoli e verso la gente, non solo in relazione al progresso tecnologico e informatico, ma anche nelle modalità di approccio e di coinvolgimento dei giovani». L’addio monti è servito nel manifesto programmatico della festa. Quello che oltre al manifesto con Armando Cossutta e un girotondo di under 50, si è dato anche un logo. Falce e moschetto? Macché. Un gioco di accenti, trattini, lettere cerchiate e sciarade che i partigiani che hanno fatto la resistenza potrebbero confondere con la pubblicità del supermercato sotto casa. Perché la festa nazionale deve essere «Re-esistenze», o ancora «Democrazia e/è antifascismo». Resistenza, ma anche esistenza, sopravvivenza. Democrazia e antifascismo sono la stessa cosa, ma anche due cose distinte e unite.

La politica del «ma anche» che serve pure quando si parla di valori. Va bene salvaguardare i principi d’antan, ma anche le necessità di cassa. Così non basta più cantare, andare al corteo del 25 aprile col fazzoletto rosso al collo, ma bisogna anche firmare qualche giorno dopo quando si fa la dichiarazione dei redditi. La campagna del «cinque per mille» diventa una priorità per questa nuova stagione di resistenza. «È importante firmare anche se il calcolo della tua Irpef è pari a zero o a credito», avverte il volantino con cui si chiede ai compagni di firmare e fare firmare in favore dell’Anpi.

Poi magari il presidente della sezione sarà un venticinquenne per il quale il 25 aprile è soprattutto la liberazione dal compito in classe di matematica. O per il quale «O bella ciao» devono averla copiata da «chi non salta è...» che la domenica canta allo stadio. Ora e sempre resistenza.

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