Anche il killer della Uno bianca vuol lasciare la cella: graziatemi

Dopo 12 anni di carcere Roberto Savi ha presentato la domanda

Andrea Acquarone

Uccideva per «educare». «Tutti devono avere paura della Uno bianca», ripeteva ai suoi complici assassini e violenti quasi quanto lui. Soprattutto a suo fratello Fabio. Già, Roberto il poliziotto, e Fabio il camionista, i capi di quella banda assassina che in sette anni (dall’1987 al 1994) seminò terrore e morte dall’Emilia alla Romagna. Ventitrè omicidi 105 crimini vari, tra rapine, agguati e ferimenti. Chi ha scordato quelli della «Uno bianca», i fratelli Savi coi loro tre complici che vestivano la rassicurante divisa della polizia per trasformarsi fuori servizio in banditi killer?
Nessuna regola, nessun limite, logica men che meno. Violenza e ferocia allo stato puro. Svaligiavano banche con bottini da 200 milioni, poi sparavano e uccidevano per divertimento durante colpi da pochi spiccioli. E lui, oggi, Roberto «il corto», ineffabile come la sua follia, impudente chiede la grazia.
Nel carcere di Opera deve scontare l’ergastolo. Dal 1994 è rinchiuso eppure adesso, come spiega troppo comprensivo il cappellano della prigione «Roberto si è reso conto di quello che ha fatto. Sta cercando di confrontarsi con se stesso». Già, dodici anni dopo...
«È un detenuto che non crea fastidi», aggiunge il sacerdote. Che però l’ha anche sentito dire: «Tutti gli ergastolani prima o poi escono... spero succeda anche a me». Sarà l’effetto indulto. Persino il suo avvocato nulla sapeva dell’istanza di grazia inviata dal suo cliente al giudice di sorveglianza milanese, Guido Brambilla. «L’ho incontrato l’ultima volta un paio di mesi fa e lui non fece cenno al riguardo», ammette sorpresa Donatella De Girolamo. Lei ieri gli ha scritto in prigione per chiedere chiarimenti. «Aspetto una sua risposta».
L’iter comunque è avviato. La richiesta di grazia passerà dal tavolo del giudice di sorveglianza a quello del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, e poi l'ultima parola spetterà al presidente della Repubblica, Roberto Napolitano. Il buon senso suggerisce che la risposta possa essere una sola. Lo stupore e l’angoscia di Rosanna Zecchi, presidente della associazione che riunisce le vittime della Uno bianca, sono quelli della società civile. «Mi sembra di sognare, come può Savi chiedere una cosa simile, mi meraviglio che non si vergogni. Non ci sono solo i morti, che si rivolteranno nella tomba, ma anche i feriti: persone che ancora portano i segni di quello che hanno subito».
Da Bologna interviene, secco, anche il sindaco Cofferati.

«Dopo i gravissimi atti criminosi di Savi e dei suoi complici che provocarono tante vittime e una profonda ferita alla città, non vedo nessun elemento che renda plausibile una simile richiesta e, ancor meno, una sua ipotetica accettazione».
Anche uno come «il corto» avrebbe dovuto immaginarlo.

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