Gabriele Villa
nostro inviato a Kiev
Il proclama di Viktor Yushcenko non fa presagire nulla di buono: «Scioglierò subito il nuovo Parlamento se dalle votazioni di domenica dovesse uscire una larga vittoria di Yanukovic. Lo riterrei, come dire, un risultato poco convincente». Un anno dopo, dunque, la storia si ripete.
O meglio rischia di ripetersi. Allincontrario, naturalmente: primattori al posto delle comparse, fustigatori al posto dei fustigati. Le dichiarazioni che il leader maximo della rivoluzione orangivin, arancione, sospinto sullo scranno più alto del Paese dal vento del cambiamento, ha reso, nella notte, davanti alle telecamere della tv Inter, equivalgono a un avvertimento ben preciso.
A ventiquattrore dal voto che dovrebbe cambiare la geografia politica della Rada cè una persistente puzza di brogli nellaria gelida di Kiev. Basta guardarsi attorno per contare osservatori dellOsce calati, giustappunto, per vigilare sulla regolarità delle votazioni, dopo limbroglio dellimbroglio, nel novembre 2004 e dopo il ballottaggio «restauratore di giustizia», voluto a gran voce dal festante popolo che cinse dassedio per quaranta giorni strade e piazze di Kiev. Messaggi e avvertimenti trasversali significano invece solo una cosa: che unaltra rivoluzione può tornare a bussare alle porte di unUcraina che non si decide a crescere. Che flirta con lEuropa ma nel contempo le ruba il gas in transito dalla Russia.
Che importa la carne dallIndia e cerca di piazzarla a Mosca, contrabbandandola per produzione locale. Inflazione oltre il 12 per cento, prezzo dei generi di prima necessità, a cominciare dal pane, triplicato nel giro di un anno. Salari di 350 hrvini, cioè allincirca settanta dollari, con cui si compra, di conseguenza, poco o niente. Il butterato, per avvelenamento o no ad opera di non meglio identificati agenti segreti, Viktor Yushcenko, col suo stipendio di 24mila hrvini, deve insomma correre ai ripari in fretta se vuol ridare luce alla sua stella politica. Perché dal profondo del Paese, dallimmarcescibile Crimea filorussa, monta questa volta il vento azzurro di Viktor Yanukovic, che può sradicare anche le centinaia di gazebo arancione, magicamente riapparsi, questa volta tra lindifferenza della gente, lungo corso Kretsciatic e nella storica piazza di Maidan teatro dellaltrettanta storica rivoluzione dellaltro inverno. E se Viktor Yanukovic, smascherato a suo tempo da Yushcenko per i suoi plateali brogli, preferisce meditare la rivincita tacendo anche davanti al proclama di ieri notte, altrettanto non si può dire dei suoi fedelissimi, per i quali la parola secessione ha nuovamente un fascino irresistibile. A Donetsk come a Lugansk e a Kharkov sono già pronti a saltare su autobus e tradotte varie e calare in massa a Kiev per dar corpo a una colossale protesta di piazza, in caso di scioglimento arbitrario del Parlamento da parte di Yushcenko, che potrebbe rivelarsi un filo meno festosa di quella orangivin. La posta in gioco daltra parte è altissima perché in base alla Costituzione sarà la Rada dora in poi a decidere la nomina del premier, del ministro degli Esteri e di quello della Difesa. Che il ritorno di fiamma degli ucraini per la bandiera azzurra sia una certezza lo dicono i sondaggi: 29,9 per cento a Yanukovic, 18,5 Yushcenko, 10,4 a Yulia Timoshenko, pasionaria della protesta arancione che allindomani del ballottaggio fu premiata con il premierato dal suo compagno di cordata, e poi messa in liquidazione dallo stesso Yushcenko nel settembre scorso e che ora, secondo un copione già visto, sta dallaltra parte della barricata. Poi a seguire nei sondaggi il 4,5% attribuito ai comunisti di Petr Simonenko e il 4% ai socialisti di Alexander Moroz. Più in giù si finisce nelle sabbie mobili dellincertezza dove galleggiano altri 42 partitini.
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