«Anche Zu Binnu ha il diritto di difendersi»

nostro inviato a Palermo

Arriva al secondo piano della procura di Palermo accompagnato dal giovane staff del suo studio e dalla sua collega (è anche la moglie) per avviare i primi rapporti da difensore di fiducia del boss dei boss con i procuratori che conducono l’inchiesta. Francesco Marasà, è stato designato dal figlio di Binnu, Angelo. È un avvocato noto in Tribunale perché con la sua compagna Rosalba Di Gregorio hanno assistito decine di inquisiti, tra cui Vittorio Mangano e Pietro Aglieri, nomi noti di Cosa Nostra. Hanno anche scritto insieme nel 1989, durante il secondo grado del maxiprocesso, L’altra faccia dei pentiti, un libro che fece molto scalpore perché metteva in evidenza tutte le contraddizioni dei pentiti di quel processo, avviando così la fase di critica nei confronti del pentitismo.
Avvocato, una nomina di peso, che potrebbe anche sembrare ingombrante...
«Guardi io sono avvocato, lo è mia moglie, lo sono diventati i miei figli. Sono profondamente convinto che una democrazia autentica si basa sul diritto alla difesa. Di chiunque. Lo prevede la Costituzione».
Sarà più difficile di tante altre difese?
«Non ho idea di come sia la situazione del mio cliente. Quello che so sono le notizie dei giornali, alcune sue posizioni nei processi che ho seguito per altri dove anche Provenzano era tra gli imputati. Adesso bisognerà capire qual è la sua posizione giuridica. E non è semplice perché nella quasi totalità dei processi in corso, Provenzano è stato assistito da difensori d’ufficio».
Vuol dire che non esiste uno studio legale che abbia l’insieme dei procedimenti a suo carico?
«Esatto. Anche perché ci sono e ci sono stati procedimenti a Caltanissetta, a Palermo, a Firenze, sicché referente unico non è neanche la Procura di Palermo».
Chi le deve fornire il quadro esatto della situazione processuale?
«La posizione giuridica è stata notificata al mio cliente dai funzionari della Mobile. Lui non può darmela: il primo colloquio con lui avverrà solo dopo l’autorizzazione di tutte le autorità giudiziarie presso cui ci sono i vari processi pendenti, che ignoriamo appunto quali siano. Un cane che si morde la coda, i paradossi del nostro sistema giudiziario».
E allora?
«Chiederemo alla squadra mobile di fornirci una copia di quello che ha consegnato a Provenzano. Spero che ce la forniscano per accelerare i tempi».
Provenzano è pluricondannato per parecchi omicidi comprese le stragi. Per l’opinione pubblica ma anche per la giustizia è un assassino conclamato. Molti pensano che sia indecoroso difenderlo se non inutile...
«L’opinione pubblica evidentemente per cattiva informazione non tiene conto del fatto che presentare di fronte all’autorità giudiziaria un imputato per ogni singolo processo significa chiedere l’accertamento della verità per un presunto innocente. Ogni processo è a sé, altrimenti dopo la prima condanna le successive si potrebbero applicare per decreto.

Così come il ruolo dell’accusa, quello della difesa è altrettanto essenziale, direi sacrale».
Essere diventato il difensore di Provenzano è per lei un merito professionale o un grosso fastidio?
«Né l’uno né l’altro. Un momento come tanti altri dell’esercizio dell’attività professionale».

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