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Ancora in fuga il padre, lo zio e il cognato della giovane sgozzata dopo un «consiglio di famiglia» e sepolta nel giardino di casa perché aveva una relazione con un italiano Sotto scorta il fidanzato della pachistana uccisa Brescia, il ragazzo è stato

La vittima trovata avvolta in un lenzuolo bianco e rivolta verso la Mecca

Gabriele Villa

nostro inviato a Sarezzo (Bs)

Dice il Corano: «... In quanto a quelle tra le vostre donne colpevoli di relazioni illecite, portate quattro testimoni scelti nelle vostre famiglie; e se loro confermano la testimonianza, allora tenetele in casa, finché la morte le liberi o Dio indichi loro la strada» (4:19). E ancora: «Punite entrambi i colpevoli, ma se si pentono, allora lasciateli in pace. Perché Dio è misericordioso» (4:20).
Evidentemente l'assassino o gli assassini di Hina Saleem, 20 anni, hanno tenuto in scarsa considerazione la clemenza divina. Hanno preferito fare «giustizia» per proprio conto. E così hanno tagliato la gola a una ragazza colpevole solo di aver fatto la scelta, secondo i suoi genitori, sbagliata. Di aver scelto un fidanzato italiano e cristiano. Di aver scelto di vivere, vestire e persino sognare all’occidentale.
È una straordinaria caccia all’uomo, nelle province di Brescia e Bergamo, quella che si sta svolgendo mentre scriviamo. Cominciata pochi istanti dopo - accadeva nel tardo pomeriggio di sabato - che da una fossa profonda un metro, scavata nell'orto di casa, a Sarezzo sulla provinciale che conduce a Gardone Val Trompia, è stato estratto il corpo senza vita, orribilmente martoriato, di questa giovane pachistana. Pochi colpi di badile, il tempo di disseppellirla, e da quella fossa è uscita probabilmente anche la verità sulla sua morte assurda. Dentro un sacco, Hina, ma con la testa rivolta alla Mecca e avvolta in un lenzuolo bianco come in tutto il mondo islamico si fa nelle sepolture. Indizi che portano dritti al padre della ragazza, Muhammad Saleem, 56 anni, allo zio, e al cognato. I tre maschi più adulti del clan, custodi dell’onore di quella numerosa famiglia, tredici persone, che abitava, fino all’altro ieri, nella casetta bianca con le persiane verdi nella frazioncina di Zanano. Fino all’altro ieri. Perché, dopo che il fidanzato di Hina, Giuseppe Tempini, 30 anni, allarmato per la prolungata assenza della ragazza ne aveva denunciato la scomparsa, anche loro, i tre uomini di famiglia, hanno pensato bene di scomparire a bordo di una Nissan rossa, che ieri i carabinieri hanno trovato abbandonata alle porte di Gardone. Una fuga precipitosa, considerato che, nella mattinata di sabato, a una prima visita dei militari dell'Arma, Muhammad Saleem aveva candidamente risposto che la figlia non la vedeva da parecchio tempo. Così a sera, quando i militari sono tornati a suonare alla porta del civico 133 non c'era più nessuno. Volatilizzati. La segnalazione di un vicino che rammentava di aver visto due o tre uomini scavare la notte prima nell'orto dei Saleem ha convinto il pm bresciano, Paolo Guidi ad autorizzare una perquisizione accurata.
Da tempo, almeno tre anni, Hina, capelli scuri, piercing e un tatuaggio sul braccio destro, si era messa contro il padre per quel suo fidanzato occidentale e italiano. Aveva persino deciso, in tempi recenti, di andar a vivere con Giuseppe, in un appartamentino del quartiere Carmine a Brescia. Facendo salire la tensione tanto da arrivare a denunciare per lesioni il padre qualche settimana fa. Una denuncia poi, ritirata, probabilmente sotto minaccia, un paio di giorni dopo. Dunque il «clan» non gradiva affatto quella sua relazione tanto più che, per Hina, padre e parenti avevano già scelto un fidanzato pachistano come lei e di provata fede islamica. Come era stato per le sue due sorelle che vivono in Italia. Anche Giuseppe, il fidanzato di Hina, distrutto dalla sorte della sua giovane compagna («Mi hanno ucciso la mia bambolina. Me l'hanno uccisa solo perché mi amava. Cosa faccio io adesso?», continuava a ripetere l'altra notte) non è da considerarsi al sicuro da un'ulteriore vendetta, decretata dal consiglio di famiglia. Per questo motivo gli investigatori l'hanno condotto in una località tenuta segreta. Quanto al principale indiziato, Muhammad Saleem, non deve avere un gran bel carattere se è vero che giorni addietro aveva litigato per quisquilie coi suoi vicini di casa italiani, mentre al lavoro, riferisce un collega, pachistano come lui, e operaio come lui, in una ditta di pentole in Val Trompia, era sempre taciturno e, nelle pause, affilava i coltelli di casa. Coltelli che ieri sono stati puntualmente sequestrati dall'abitazione di via Dante passata al setaccio col Luminol dagli uomini della scientifica per trovare tracce di sangue. Qualcuno ha deposto un mazzo di fiori sui due gradini che introducono in casa Saleem e sulla recinzione accanto alla fossa dove Hina è stata trovata, un'altra mano pietosa ha infilato l'immaginetta di una santa bresciana.
Appoggiata al muro la biciclettina verde del più piccolo dei fratellini di Hina, spedito lontano già due settimane fa, con la mamma e con tutti i più giovani della famiglia.

Perché la «faccenda» di quella figlia ribelle, venisse risolta senza troppi testimoni.

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