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«Ancora non mi spiego perché io sia vivo e altri miei amici no»

L’ex comandante dei vigili del fuoco di New York racconta: «Ero il vice e sostituii il capo che morì sotto la Torre sud. Dovevo essere con lui, ma una persona che chiedeva aiuto mi fermò. Due minuti e sarei stato tra le vittime»

Marcello Foa

Quando ricorda l’11 settembre e i suoi 343 ragazzi travolti dalle macerie del World Trade Center, la sua voce s’incrina. È un tremolio appena percettibile: Daniel A. Nigro oggi non è più in servizio e l’America non ha smesso di tributargli la sua riconoscenza. Lo considera, giustamente, un eroe, perché quel giorno fu lui a guidare i pompieri a Manhattan, ma lui eroe ancora non si sente. «Sono solo una persona che ha compiuto il suo dovere con quieta forza», si schernisce al telefono. Cinque anni dopo non ha dimenticato.
Che giorno per l’America. E che giorno per Daniel Nigro. L’11 settembre del 2001 era il vice comandante dei vigili del fuoco di New York. Sin da ragazzo, quando decise di seguire le orme del padre, anch’egli vigile del fuoco, aspirava a diventare il numero uno. Ma non aveva fretta, perché il capo era il suo migliore amico, un altro italoamericano, Peter Ganci. Immaginate un uomo che realizza il sogno della sua vita durante la più grande tragedia della storia degli Stati Uniti, vedendo scomparire tra le macerie il collega che considerava un fratello. Quell’uomo è Daniel Nigro.
«Ancora oggi non riesco a capire perché io sia in vita e altri miei colleghi no», racconta in un’intervista concessa al Giornale poco prima di partire per Venezia, dove da giovedì a domenica parteciperà alle manifestazioni di solidarietà e raccolta di fondi indette per il quarto anno consecutivo dall’associazione «Il vero cuore di Venezia» in favore dei pompieri della Grande Mela. «Quella mattina - spiega - dopo che le due torri erano state colpite, fui fermato da una persona che conoscevo da tempo, Gabe Delapena. Era molto agitato perché sua moglie lavorava in un ufficio al 92esimo piano e non aveva notizie di lei. Io ero terribilmente indaffarato ma decisi di fermarmi con lui due minuti, per incoraggiarlo e confortarlo. Pochi istanti dopo, la Torre sud crollò. Nella lobby c’era Ganci: io sarei dovuto essere con lui. Se non fosse stato per Delapena il mio nome oggi apparirebbe nella lista delle vittime».
L’ex capo dei Vigili del fuoco dice di non aver rimorsi: quel giorno fece tutto il possibile per salvare il maggior numero di persone, in circostanze talvolta miracolose. «L’episodio che più mi ha impressionato riguarda alcuni miei colleghi: stavano aiutando una donna anziana a scendere i gradini; procedevano molto lentamente, quando improvvisamente il grattacielo crollò. Non rimase in piedi nulla tranne la rampa nel punto dove si trovavano loro. Si salvarono tutti».
Oggi ha 58 anni e non ha dimenticato Valva, il paese del Salernitano abbandonato cent’anni fa dai suoi avi per emigrare in America. Come tutti i suoi concittadini è persuaso che «prima o poi i terroristi colpiranno di nuovo la Grande Mela». E questo ovviamente non lo conforta, ma ritiene sbagliate le polemiche sulla strategia adottata dalla Casa Bianca. «In tutti questi anni non ho mai sentito nessuno, tra i repubblicani e tra i democratici, che abbia dimostrato di sapere come sconfiggere una volta per tutte il terrorismo», afferma senza animosità. «Anch’io sono turbato quando vedo i nostri ragazzi morire in Irak e mi chiedo se ne sia valsa davvero la pena, ma la realtà è che - Irak o no - gente accecata dal fanatismo religioso come Bin Laden è determinata a sfidare gli Usa per molti anni a venire».
Ogni volta che riceve un premio o che partecipa a una commemorazione, come quella in Laguna, ricorda che «l’America deve rassegnarsi a convivere con questa minaccia». Si dice certo che oggi New York sia meglio attrezzata per reagire a un’eventuale emergenza simile a quella dell’11 settembre, ma ammette che le rivalità tra il corpo della polizia e quello dei vigili del Fuoco - che cinque anni fa compromisero parte dei soccorsi - non sono affatto risolte. Anzi. «Temo che ancor oggi prevalga la diffidenza e dunque la tendenza a limitare allo stretto necessario il coordinamento tra i due corpi», riconosce con il disappunto di chi con il cuore si sente ancora pompiere. Molti dei suoi colleghi sono ancora in servizio. Nigro ha due figlie, Lisa di 30 anni, e Lori di 23, che non si sono arruolate, ma che sono rispettivamente sposate e fidanzate con due vigili del fuoco. «La tradizione familiare in un certo senso continua», osserva con lieve compiacimento.
Quando digiti il suo nome sui motori di ricerca di Internet, scopri che l’ex comandante è citato spesso sui siti di controinformazione, che sostengono, ad esempio, che il crollo delle due Torri fu provocato da cariche piazzate ad arte. Citano il pompiere Eward Cachia che dichiarò di aver sentito esplosioni in sequenza e rilevano che i due grattacieli crollarono su loro stessi, come avviene quando vengono demoliti vecchi edifici. Lui non si scompone: «Certa gente preferisce credere alle proprie supposizioni anziché alla realtà. Quelle che sembrarono esplosioni, era in realtà il rumore, secco, provocato dal cedimento dei piani, che cadevano uno sopra l’altro. Chi crede alle teorie cospirative ignora volutamente che il crollo fu provocato dal terribile impatto degli aerei e poi dal calore sprigionato dagli incendi. Questi due fatti provocarono il cedimento dei due grattacieli del World Trade Center, che avevano una struttura particolare».
Non ha dubbi, Daniel Nigro. Solo certezze. Una in particolare: l’America deve andare avanti, nonostante la paura, nonostante Bin Laden.
marcello.

foa@ilgiornale.it

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