Politica

Annan, il burocrate del Palazzo di Vetro

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Per descrivere il personaggio conviene forse partire da un aneddoto, anche se questo lo riguarda, in apparenza, molto indirettamente. Qualche tempo fa il consiglio comunale della città di New York ha messo il veto al progettato stanziamento di fondi per ammodernamenti ed ampiamenti del Palazzo dell’Onu. Erano i tempi della più forte campagna dei consiglieri neoconservatori di George Bush contro Kofi Annan; ma gli amministratori newyorkesi non potevano e non possono certo essere definiti come appartenenti a quella coloritura ideologica. Al contrario, sono piuttosto «liberali», «progressisti» e anche «pacifisti»: a suo tempo votarono un documento contro la guerra in Irak. Perché dunque la loro ostilità? Contro chi era rivolta? Non ci sono dubbi che c’era e c’è una forte componente personale. Kofi Annan non piace, o non piace più, all’America e anche ad altri Paesi dell’Occidente. Il motivo più appariscente è stato ieri - ma oggi è già quasi dimenticato - l’odore di scandalo e di corruzione che a un certo punto i collaboratori di Annan hanno cominciato ad emettere, compreso il figlio del segretario generale, che avrebbe preso quelle che noi chiamiamo «bustarelle», con l’aggravante - almeno politica - che la ditta che gli pagava il salario era anche impegnata come lobby in appoggio a un discusso programma messo in piedi in Irak prima della guerra e che si chiamava «Petrolio contro cibo». Inevitabilmente Kofi Annan fu trascinato nei sospetti e nelle polemiche. Si chiesero le sue dimissioni, fra l’altro; ma non se ne fece di nulla. I sospetti che rimasero, e che rimangono, non riguardano che cosa c’è nel portafoglio del segretario dell’Onu quanto quello che c’è nella sua «testa». Qual è, in sostanza la sua ideologia, la sua formazione mentale e culturale, il ruolo che egli attribuisce alle Nazioni unite e a se stesso. Ci sono due correnti nell’opinione pubblica mondiale, in questi anni, due modi diversi di considerare l’organizzazione insediata a Palazzo di Vetro. La difendono, e sostengono dunque Annan, i sostenitori dello status quo, della continuità, della routine. Non che essi neghino che l’Onu ha delle debolezze, ma le considerano congenite e sostanzialmente incurabili. Gli altri, i critici, dicono invece che le Nazioni Unite così come sono non rispecchiano più né i problemi né i cangianti equilibri del mondo.
Kofi Annan impersona il vecchio mondo al di là di quanto richiedano le sue funzioni che sono inerentemente di conservazione. Egli è, innanzitutto, un funzionario. È il primo segretario generale nella storia delle Nazioni Unite a non venire dalla diplomazia (e dunque, in un modo o nell’altro, dalla politica) bensì dalla burocrazia. Tutta la sua carriera è stata un cursus honorum interno. Come se egli fosse nato dentro il Palazzo di Vetro. Ha fatto eccellenti studi, negli Stati Uniti e in Svizzera, ha messo assieme un bel po’ di lauree e diplomi, ma è dal 1962 che è funzionario, «grand commis de l’État». Ha cominciato nella Organizzazione mondiale della sanità nel lontano 1962 e poi su su tutta la carriera fino all’elezione a segretario generale nel 1997, e al rinnovo della carica nel 2002, anch’esso un fatto senza precedenti, che dimostra quanto l’uomo si identifichi con la carica. Il che costituisce anche il suo limite, perché la macchina che egli guida è praticamente senza motore. Raccontiamo qui accanto i principali fra i fallimenti delle Nazioni Unite, che sono principalmente dovuti alla loro data di nascita: in un altro mondo. Furono fondate, non dimentichiamolo, come strumento di guerra, durante il secondo conflitto mondiale, come Alleanza dei belligeranti contro l’Asse. Dunque ne faceva parte l’Unione Sovietica e questo determinò, allo scoppio della Guerra Fredda il congelamento e la paralisi dell’Onu, cui rimase un solo ruolo dinamico, la cura della decolonizzazione. Ma con la caduta del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Urss il mondo ha ricominciato a muoversi, con priorità e tempi differenti. Di qui le pressioni, soprattutto americane, per una revisione dei suoi statuti e comportamenti. Kofi Annan è l’uomo della continuità anche a rischio della paralisi e dell’irrilevanza. Di qui certe sue rigidità e, di contro, la vaghezza dei suoi propositi. I pronunciamenti ripetuti contro il terrore senza un suggerimento su come combatterlo. Un richiamo a «leggi internazionali» non più definite.

E una frase che può riassumerne le idee e la sensibilità: «La pace è un sogno sospeso».

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