Pierluigi Bonora
da Milano
È passato un anno dal divorzio tra la Fiat e la General Motors, partner che nel marzo 2000 Gianni Agnelli aveva preferito ai tedeschi della DaimlerChrysler pronti a mettere sul piatto 12 miliardi di euro per i marchi italiani, ma con la prospettiva di una pesante e dolorosa riorganizzazione. Meglio la Gm, allora, perché laccordo prevedeva anche un «ombrello» per il Lingotto: la possibilità, cioè, che entro termini prefissati gli americani potessero diventare proprietari dellintero gruppo automobilistico di Mirafiori. Nel frattempo Torino e Detroit avrebbero collaborato, attraverso due joint venture, allo sviluppo di nuovi modelli e allacquisto di componenti con lobiettivo di ottenere importanti economie di scala. Con il passare del tempo, però, quella che la stampa mondiale aveva definito la «mega-alleanza in grado di dare una svolta al settore automobilistico europeo» aveva cominciato a dare segnali di nervosismo, complice anche la grave crisi in cui nel frattempo era piombata la Fiat.
La rottura dei rapporti era avvenuta proprio sul nodo della put option e sulla ferma intenzione del nuovo vertice torinese, composto da Luca di Montezemolo e Sergio Marchionne, di ritenere valida quella clausola nonostante le rimostranze degli americani. E così il lungo braccio di ferro tra lelefante di Detroit e il topolino italiano si è risolto a favore di questultimo proprio la notte tra il 12 e il 13 febbraio 2005. Marchionne, in pratica, è riuscito a strappare agli americani 1,55 miliardi di euro in cambio della cancellazione della fatidica put option, ottenendo anche la libertà di poter stringere alleanze industriali con altri partner. Qualcuno, al contrario, sottolineò come la Gm avesse accettato di pagare fino a 2 miliardi di dollari pur di non trovarsi in casa un gruppo moribondo e senza un futuro, come quello di Torino. Ma un anno dopo le cose sono completamente cambiate. Fiat Auto è sulla strada della piena ripresa, mentre la General Motors è sullorlo del baratro. Intanto, a 365 giorni dalla notte della resa dei conti, affiorano aneddoti e retroscena sul modo con cui Marchionne, il «Mago della Fiat» come lha soprannominato Le Nouvel Observateur, ha costretto allangolo il potente vertice di Detroit. Allincontro decisivo, che si è svolto il 12 febbraio notte a New York, il presidente della Gm, Rick Wagoner, si sarebbe presentato solo allultimo momento, per latto della firma con cui veniva sancito il divorzio. Wagoner, insieme allex numero uno Jack Smith, nel 2000 era tra i manager che avevano sottoscritto lalleanza con la Fiat, rappresentata allora da Gianni Agnelli, Paolo Fresco e Paolo Cantarella. «Quella notte - dice una fonte - Wagoner sembrava piuttosto assente e mentre le parti leggevano i termini del contratto, continuava a giocherellare con il suo Blackberry. Alla fine i vertici di Gm dissero che per loro quella raggiunta con Torino era la scelta migliore perché un lungo braccio di ferro avrebbe impedito a Detroit di concentrarsi sui seri problemi che da lì a poco sarebbero emersi».
«A distanza di un anno - osserva unaltra fonte - cè da chiedersi perché Marchionne aveva fretta di chiudere la partita allinizio dellanno. Forse aveva fiutato che, aggravandosi la situazione finanziaria degli americani, era necessario ottenere il massimo subito. Aveva visto giusto. Solo dopo pochi mesi i 2 miliardi di dollari non li avrebbe mai ricevuti e la querelle si sarebbe trascinata anni». Raccontano anche che a spiazzare gli americani sia stata la tenacia dellamministratore delegato di Torino («Wagoner e il suo cfo Devine non si aspettavano un mastino così, capace soprattutto di mordere»). «Marchionne quella notte li ha sfiancati - aggiunge la fonte -, portava la tensione alle stelle e poi abbandonava il tavolo e usciva in strada a fumare.
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