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Anomalia Italia: la finta imparzialità dei giudici

Riemerge una questione mai risolta: le toghe sono divise in correnti politiche e passano con disinvoltura dai tribunali al Parlamento. E dunque non sono super partes

Anomalia Italia: la finta imparzialità dei giudici

Le porte girevoli. Dalla magistratura al Parlamento. E Dal Parlamento di nuovo in tribunale. Dalla poltrona di ministro alla Corte costituzionale. Da qualche ufficio giudiziario alla carica di governatore o di sindaco e poi indietro al punto di partenza. C’è un traffico continuo fra i palazzi del potere. Un andirivieni che rende riconoscibili, marcabili politicamente, molti giudici. Ed ecco che così, vizio tipicamente italiano, alla vigilia dell’attesissima udienza della Consulta sul legittimo impedimento, si sprecano le indiscrezioni. Il toto- voto, manco si fosse su un campo da calcio. E Repubblica arriva addirittura ad indicare il risultato finale testa per testa: 7 giudici sarebbero schierati per il no, cinque invece sarebbero orientati a salvare la legge e tre incerti.
Possibile? Possibile che in Italia sia sappia già prima come andrà a finire? E però chi si straccia le vesti e parla, non a torto, della sacralità dell’istituzione, dovrebbe comunque fare i conti con la realtà. Un sistema di vasi comunicanti che alla fine rompono quell’isolamento ieratico che dovrebbe avvolgere i quindici custodi della Costituzione. E invece, problema bipartisan, i quindici a torto o a ragione possono essere incasellati. E non solo loro. Sabino Cassese, studioso di vaglia, è stato Ministro della funzione pubblica nel governo Ciampi e, guardacaso, Repubblica lo inserisce fra i sette antiscudo. Così come Franco Gallo, titolare delle Finanze nel governo Ciampi e oggi accreditato nella stessa lista dei sette. Naturalmente si potrebbe obiettare che il governo Ciampi fu un esecutivo tecnico, ma, si sa, queste discussioni spaccano l’opinione pubblica e quel che per alcuni è neutro per altri ha un colore facilmente identificabile. Curiosamente Luigi Mazzella, ministro della Funzione pubblica nel secondo governo Berlusconi, eletto alla Corte dal parlamento su indicazione del centrodestra, è invece nella cinquina che vorrebbe salvare la norma.
Naturalmente tutte le previsioni sono fatte per essere smentite. Però sarebbe davvero ipocrita scandalizzarsi. La magistratura italiana è organizzata per correnti, che riproducono le fibrillazioni della politica: c’è Magistratura indipendente, a destra, Unicost al centro, Magistratura democratica, a sinistra così come i Movimenti Riuniti. E se si va a leggere i documenti storici di Md si trovano passi che sembrano presi di peso da qualche relazione tenuta ad un congresso del Pci o di una formazione dell’ ultrasinistra. «Il nostro compito - afferma Marco Ramat nel ’75 - consiste nella ricerca di una politica della magistratura ...che sia capace di inserirsi utilmente nella lotta ...condotta dal movimento democratico». Manca solo il pugno chiuso, nello stile dei tempi.
Oggi il clima è un altro ma l’andirivieni continua. A destra e a sinistra, ma a sinistra più che a destra. Vito D’Ambrosio è stato per dieci anni dieci, dal ’95 al 2005, governatore delle Marche, poi si è riaffacciato in Cassazione come se nulla fosse. Un pendolare. Come Adriano Sansa: pretore, poi sindaco progressista a Genova, poi ancora giudice e giudice nella stessa città nella città che aveva amministrato. Da mal di testa. Più in generale se si immagina il giudice - il pm è per sua natura di parte - come una figura austera, discreta, imparziale, innalzata su un piedistallo rispetto alla contingenza della quotidianità, allora la navetta fra diverse parti in commedia non aiuta. Luigi Bobbio, pm a Napoli, è stato eletto al Senato per An, poi è diventato capo di gabinetto del ministro Meloni, pur mantenendo l’aspettativa da magistrato, infine ha lasciato pure la Meloni per giocare la partita da sindaco a Castellamare di Stabia, feudo rosso in crisi. Giuseppe Ayala, l’elegante amico di Falcone e Borsellino, ha fatto di più. È stato eletto senatore per il centrosinistra, poi è ritornato alla corte d’appello dell’Aquila. Ma non si è trincerato dietro chissà quale furoreggiante motivazione: «Sono dovuto rientrare - ha spiegato al Corriere della sera - perchè mi mancava un anno e mezzo di contributi». È l’ideologia della pagnotta.
Giuseppe Onorato è diventato presidente di sezione in Cassazione dopo essere stato tredici anni in Parlamento come indipendente, prima nel Pci, poi nel Pds e infine nei Ds. Quasi scontato che il centrodestra l’abbia mitragliato quando si è trovato a gestire, in un incrocio ad alta gradazione politica, il processo contro Marcello Dell’Utri. E lo stesso centrodestra ha protestato quando Giovanni Maria Flick, guardasigilli nel Governo Prodi è atterrato alla Corte costituzionale su input di Ciampi. Ciampi si è difeso parlando di Flick come di un professore universitario dal profilo tecnico. Intendiamoci: sulla maestria dell’avvocato Flick testimoniano le parcelle stellari, ma il professore è anche una delle teste d’uovo che hanno costruito nel ’96 il programma dell’Ulivo sulla giustizia. Insomma, il raffinato giurista è rintracciabile nell’album di famiglia della sinistra anche se non è misurabile col metro della militanza.

A differenza di Valerio Onida, il presidente emerito della Consulta fresco di partecipazione alle primarie per il candidato sindaco della sinistra milanese. Qualche dubbio si insinua fatalmente nel nostro specchietto retrovisore. E le porte continuano a girare, come al grand hotel.

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