
I primi progetti per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità - la Tav - non erano ancora del tutto definiti che già spuntavano i suoi oppositori: i No Tav.
Ben presto la Valle di Susa diventa un campo di battaglia tra le forze dell'ordine e il movimento che, nato con intenzioni pacifiche, si arricchisce presto di contestatori più accesi e particolarmente vicini al mondo dei centri sociali di Torino, degli squatters e dei movimenti di estrema sinistra. Per oltre trent'anni i No Tav hanno trasformato ogni apertura di cantiere in una guerriglia urbana che ha devastato infrastrutture, sradicato recinzioni lunghe chilometri, bloccato lavori e strade. E assaltato le forze dell'ordine che per anni hanno presidiato giorno e notte il cantiere principale di Chiomonte. I No Tav hanno fin dall'inizio il luogo operativo nel centro sociale torinese Askatasuna, lo stesso che il sindaco del Pd di Torino, Stefano Lo Russo, ha sostenuto con un progetto di ristrutturazione il cui costo supera i 100mila euro. Da qui i No Tav si "organizzano come guerrieri", come ha sostenuto la procura in uno dei tanti processi che ha visto gli attivisti alla sbarra per le loro azioni violente, mirate e studiate nei minimi particolari. Nel centro Askatasuna, nei giorni prima degli attacchi a sorpresa, i No Tav danno vita "ad una organizzazione paramilitare e violenta" - per usare sempre un'espressione della magistratura torinese - che ha ipotizzato nei loro confronti accuse pesantissime, come terrorismo, associazione a delinquere, danneggiamenti, rapina e sequestro di persone. Un braccio di ferro snervante che ha spesso portato a stop lunghi e costosi. Con un danno economico per tutto il territorio e per lo sviluppo stesso dell'Italia. Senza contare la spesa aggiuntiva che lo Stato ha dovuto sostenere per difendere gli operai ed i cantieri dagli attivisti, con centinaia di poliziotti, carabinieri e guardia di finanza che giorno e notte nei periodi più caldi, hanno presidiato tutta l'area. Per questo, in un processo terminato alcuni mesi fa, ad Askatasuna sono stati richiesti dall'Avvocatura dello Stato oltre sei milioni e 800 mila euro per gli scontri avvenuti al cantiere Tav. I fatti contestati risalgono al 27 giugno 2011, quando migliaia di agenti sono stati mandati a sgomberare il presidio di Chiomonte. A distanza di quattordici anni è arrivato il conto per decine di attivisti No Tav: circa 50 militanti stanno ricevendo le cartelle esattoriali per spese processuali e ammende.
La somma indicata copre sia i danni patrimoniali - ossia mezzi e uomini delle forze dell'ordine - sia i danni non patrimoniali, che includono le spese sostenute dalle pubbliche amministrazioni, dalla polizia e dai carabinieri per le indagini relative agli assalti al cantiere Tav in Val di Susa nel 2020 e 2021.