
Una volta Donald Trump ha detto che possedere un grande campo da golf ti dà un grande potere. Oggi il potere sarà anche quello di concludere, o far fallire, un negoziato che va avanti ormai da mesi con l'Unione europea sui dazi. È il D-Day, dove D sta appunto per Donald perché è al presidente Usa che spetterà l'ultima parola sulle trattativa, sull'asticella che verrà fissata per le tariffe e sulle eventuali esenzioni. La sua controparte, Ursula von der Leyen, lo incontrerà nel pomeriggio su un campo solo apparentemente neutro né su territorio Usa, con la trappola mediatica dello Studio Ovale, né su quello europeo perché in realtà la presidente della Commissione Ue si giocherà l'esito della guerra commerciale sul green del resort di lusso di Turnberry, proprietà dell'azienda di famiglia, in Scozia dove la madre del tycoon è nata e cresciuta. "L'accordo sui dazi con l'Ue sarà quello più grande di tutti", ha detto venerdì Trump al suo arrivo con l'Air Force One.
La bozza dell'accordo si troverebbe già al tredicesimo piano del Palais Berlaymont, ma resta sempre l'incertezza per l'imprevedibilità presidenziale. Se Trump non deciderà di sparigliare all'ultimo, Bruxelles e Washington si apprestano a siglare un'intesa di principio ispirata al modello giapponese, con la tariffa base del 15% a regolare gli scambi. Lo schema di cui si parla sin qui include la clausola della "nazione più favorita" (Mfn) - garanzia di parità e non discriminazione - che stabilisce una tariffa media reciproca del 4,8% nel commercio transatlantico. Nessuna concessione per i metalli industriali: i dazi statunitensi del 50% resterebbero in vigore.
Già nel 2018 Trump applicò tariffe rispettivamente del 25% e del 10% su acciaio e alluminio, provocando una reazione a catena: le contromisure continentali per 2,8 miliardi colpirono prodotti simbolici come bourbon, Levi's e Harley-Davidson. Lo stesso arsenale che Bruxelles ha inserito anche nella sua prima lista di contro-dazi pronta a scattare il 7 agosto in caso di no deal.
Quanto all'automotive europeo, sostenuto dal pressing costante delle ammiraglie tedesche, dovrebbe strappare un allentamento del dazio Usa oggi fissato al 25%, con l'armonizzazione alla soglia del 15 per cento. La tregua potrebbe essere riservata ad alcuni dei settori più sensibili e ad alta intensità tecnologica: aerei civili, alcolici di pregio, legname, robotica avanzata e macchinari industriali. Anche il comparto sanitario - farmaci, vaccini e dispositivi essenziali - potrebbe restare al riparo dal fuoco incrociato. Nulla, però, impedisce che Trump torni a intervenire sul dossier nei prossimi mesi. In cambio delle concessioni tariffarie, von der Leyen potrebbe riconoscere alcuni standard tecnici statunitensi nell'automotive. Non solo. Mentre Trump ieri tirava i suoi drive, a Bruxelles l'ipotesi di una digital tax europea sembra per ora essere stata messa in stand-by nel quadro dei negoziati sui dazi tra le due sponde dell'Atlantico. Resta invece intatta la linea rossa sulla legge gemella Digital services act-Digital markets act (Dsa-Dma), i due pilastri normativi che impongono regole più severe su contenuti, trasparenza e concorrenza per i colossi del web, particolarmente sgradite alla Casa Bianca.
"La discussione è ancora in corso, ma lo scenario più realistico prevede un'aliquota compresa tra il 10 e il 15%.
Molto dipenderà da come verrà strutturata la tassazione: se fosse applicata in forma flat, andrebbe ad assorbire i dazi preesistenti e, in alcuni casi - come i prodotti lattiero-caseari e l'olio extravergine - si potrebbe arrivare quasi a un impatto nullo. Diverso il caso del vino, che rischia invece un aumento delle imposte", ha commentato ieri il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini.