Una giornata nel segno di Bettino. Stefania Craxi difende il padre e attacca il Pool e il mito di Mani Pulite. Lo fa al mattino, dagli schermi di TgCom 24, torna alla carica nel pomeriggio presentando il documentario Falsa rivoluzione nella sede della fondazione che porta il nome pesante di Bettino Craxi. Vent’anni fa l’ufficio del leader socialista in piazza Duomo era uno dei luoghi più trafficati e riveriti d’Italia. Oggi per ospitare la cornice degli ex, sconfitti da un pugno di magistrati, basta una sala senza pretese con vista sui grattacieli in costruzione. Si rivede Antonio Del Pennino, storico deputato repubblicano a suo tempo inquisito, e con lui l’avvocato Giannino Guiso, acerrimo e irriducibile avversario del Pool. E poi Carlo Tognoli, il sindaco della Milano da bere che fu fatta ingoiare a suon di manette ai socialisti. Le loro facce e, dietro, le immagini di quell’epoca che rotolava nella polvere.
Forlani con la bava alla bocca, Sergio Cusani col suo sorriso enigmatico e fiero, Craxi che combatte: «La legge sul finanziamento garantiva 70 miliardi l’anno, ma i partiti costavano migliaia di miliardi. Tutti violavano la norma, tutti lo sapevano, ma nessuno diceva niente». Stefania annuisce e rilancia: «Vent’anni fa, una falsa rivoluzione ha distrutto i cinque partiti storici che avevano fatto dell’Italia una potenza mondiale». Tornano le drammatiche immagini di Bettino che, il 3 luglio ’92, svela in Parlamento l’illegalità di tutto il sistema di finanziamento dei partiti. La storia non si fa con i se e con i ma, però il presidente del movimento Riformisti italiani prova lo stesso a immaginare quell’alternativa che non è mai arrivata: «Craxi chiese una responsabilità politica alle forze politiche per dare un rimedio a quella degenerazione e a quel problema di moralizzazione della vita pubblica che si era creato. Seguì un vile silenzio. Credo che se quel giorno le forze politiche avessero dato ascolto a mio padre la storia sarebbe cambiata».
E invece la storia la fanno i vincitori di allora o chi si è schierato con loro. A poche centinaia di metri in linea d’aria, al teatro Elfo Puccini, il ventennale viene celebrato da Antonio Di Pietro, Marco Travaglio, Leoluca Orlando, Giuliano Pisapia, che pure da avvocato aveva contestato gli eccessi del manipulitismo, e Bruno Tabacci, inquisito, assolto, sdoganato e diventato l’uomo forte della giunta arancione di rito ambrosiano. La sala è gremita fino all’inverosimile e, se c’è un rimpianto, è quello di non essere andati fino in fondo.
Di Pietro addirittura si commuove soffermandosi sulle durissime polemiche di questi anni: «So io quanto abbiamo sofferto e quanto stiamo ancora soffrendo. Passo il 70 per cento del mio tempo a difendermi da accuse ingiuste, ho 320 cause di diffamazione ancora in corso». Trecentoventi processi per consolidare la base del monumento che mezza italia non gradisce, anzi vorrebbe abbattere. «Mani pulite fu una guerra civile», insiste Stefania Craxi. «No, non è vero, il Pool non fece mai politica», ribatte a distanza, in un’intervista al Messaggero, Gerardo D’Ambrosio, allora coordinatore del Pool e oggi senatore del Pd.
Su un punto sono tutti d’accordo. Oggi è peggio di ieri. «Abbiamo assistito in questi anni - conclude Stefania Craxi - nella seconda repubblica nata da Mani pulite, a un complessivo degrado delle istituzioni, del personale politico, della vita morale e civile di questo Paese».
Quasi in simultanea Di Pietro sembra darle ragione, rivolgendosi alla sterminata platea del Puccini: «Vent’anni fa avevamo un malato grave, il Paese Italia, con un tumore grave, la corruzione politica ambientale, che oggi è diventata una metastasi». Ma per l’ex pm «il problema della corruzione può esser risolto dalla politica in 24 ore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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