Applausi e tanta emozione in piazza Duomo. José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha ricordato l’arcivescovo Schuster Ore 11.03, Milano proclama i primi due beati In dodicimila alle celebrazioni di monsignore Biraghi e

«Così si inaugura questo rito nella storia della Chiesa ambrosiana»

Andrea Tornielli

Sono le 11.03 quando il cardinale portoghese José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle cause dei santi e «legato» pontificio per la cerimonia che si svolge in piazza Duomo, legge la dichiarazione con la quale monsignore Luigi Biraghi e don Luigi Monza sono stati proclamati beati. Il porporato della Curia romana è assiso sul «faldistorio», il tronetto posto davanti all’altare che è stato approntato sul sagrato della cattedrale milanese. Non riveste gli abiti liturgici, come l’arcivescovo Dionigi Tettamanzi, che presiede la messa, ma è lui, l’«inviato speciale» del Papa, a proclamare i nuovi beati per conto di Benedetto XVI. Subito dopo, tra gli applausi dei dodicimila fedeli presenti in piazza, sono state scoperte le grandi immagini dei due sacerdoti ambrosiani ai quali viene tributato l’onore degli altari.
È stata una cerimonia storica quella che si è svolta ieri mattina. Per la prima volta nella storia della Chiesa ambrosiana è stata celebrata qui una beatificazione. Una novità che è conseguenza della decisione di Papa Benedetto XVI, il quale poche settimane dopo l’elezione ha stabilito di non celebrare più personalmente le beatificazioni (come accadeva fin dai tempi di Paolo VI), riservando a sé solo le canonizzazioni. Una scelta accompagnata dalla volontà di «decentrare» queste cerimonie per valorizzare il ruolo delle Chiese locali. Ma se la cerimonia è decentrata e non viene più celebrata a Roma o nel corso di un viaggio papale, il segno tangibile dell’unità con la sede di Pietro e con il Papa è dato proprio dalla presenza del cardinale legato pontificio.
Alle 10.15, in processione, sotto un cielo incerto, i cardinali Saraiva e Tettamanzi hanno fatto il loro ingresso nella piazza. Prima dell’inizio della cerimonia hanno salutato le autorità e i rappresentanti dell’Istituto delle Suore Marcelline, fondate dal Biraghi, e delle Piccole Apostole della Carità, fondate dal Monza. Poi, mentre Saraiva si sedeva su una delle due cattedre predisposte dietro l’altare, Tettamanzi entrava in Duomo per indossare i paramenti. Subito dopo l’inizio della messa, si è svolto il rito vero e proprio della beatificazione: sono state letti due brevi profili biografici dei nuovi beati, quindi il legato pontificio ha letto la dichiarazione con la quale «per benigna concessione del Santo padre» Biraghi e Monza sono stati iscritti nell’albo dei beati della Chiesa cattolica.
Nell’omelia, Tettamanzi ha ricordato con «gioia e un compiacimento particolari» che «il rito di beatificazione viene celebrato, per la prima volta nella storia bimillenaria della Chiesa ambrosiana, nel nostro Duomo di Milano». Ha spiegato che i nuovi beati sono un «esempio di vita cristiana che ci affascina e ci conquista e, insieme, ci provoca e ci stimola». «Oggi in particolare - ha detto ancora l’arcivescovo di Milano - abbiamo grande bisogno di avere tanti beati e santi, perché la loro esemplarità di vita denunci il male presente in noi, ma soprattutto risvegli e fortifichi lo slancio verso il vero bene, accolto in tutto il suo fascino e vissuto in tutta la sua urgenza di perfezione». «Il Signore ci dona i due nuovi beati - ha aggiunto - non solo come modelli di vita, ma anche e non meno come intercessori a nostro favore: il loro amore per Dio è indisgiungibile da quello per tutti i loro fratelli e sorelle nella fede, anzi per tutti gli uomini e per ciascuno di loro». Tettamanzi, commentando i vangeli che narrano gli incontri di Gesù risorto con i discepoli con le parole di Benedetto XVI nella sua prima enciclica, ha spiegato che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva», la persona di Gesù. E ha concluso invitando tutti i fedeli a chiedere aiuto ai nuovi beati per rispondere alle «diverse forme di necessità e povertà materiali, morali e spirituali della nostra società, delle nostre città, dei nostri paesi», citando le parole di don Monza: «Come non è concepibile un cristiano senza amore, così non è concepibile un cristiano senza l’espansione della sua carità, che deve abbracciare tutto il mondo. Non dite: “Io voglio salvarmi”, ma dite invece: “Io voglio salvare il mondo”. Questo è il solo orizzonte degno di un cristiano perché è l’orizzonte della carità».
Al termine della cerimonia è intervenuto anche il cardinale Saraiva, che ha sottolineato lo stretto legame della Chiesa di Milano con quella di Roma. Il porporato ha ricordato il beato arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster, alle cui esequie in Duomo Saraiva partecipò da giovane studente di teologia. E ha citato le sue parole dette ai seminaristi ambrosiani poco prima di morire: «Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi: ha paura, invece, della nostra santità». «I due sacerdoti, che oggi ho proclamato beati a nome del Santo padre - ha continuato il cardinale Prefetto delle cause dei santi - sono la vivente conferma della verità delle parole del beato Schuster. Ci sono qui persone giunte da ogni parte d’Italia e da nazioni lontane, collegate con noi anche con la televisione.

Via satellite sono qui con noi i fratelli e le sorelle del Canada e del Messico, dell’Ecuador e del Brasile. La santità, come diceva il cardinale Schuster, è veramente capace ancora - e lo sarà sempre - di scuotere, di porre in cammino, di attrarre di nuovo sui sentieri del bene, dell’amore per Dio e per i fratelli».

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