Pietro Vernizzi
«Il passato dell'uomo è l'enigma stesso della sua esistenza», diceva Thomas Mann. Visitare le collezioni del museo Mangini Bonomi, composte perlopiù da oggetti della vita di tutti i giorni, è un po' come immergersi in questo enigma attraverso un passato domestico e quotidiano, ma non per questo meno ricco di bellezza. Da giovedì il palazzo di via dell'Ambrosiana 20, a due passi dal Duomo, sarà aperto per due giorni a settimana, il lunedì e il giovedì (non festivi) dalle 15 alle 17, con visite gratuite. Entrare in questa casa-museo non è solo un'esperienza estetica, ma anche qualcosa che riveste un valore affettivo. Quelli raccolti nelle sue stanze sono oggetti nei quali ci si riconosce e che fanno riaffiorare un legame. Passando dalla stanza dei ferri da stiro, per esempio, è difficile non ricordarsi della propria nonna.
Finora la collezione era visitabile solo su appuntamento e a pagamento. Ora la fondazione Mangini ha deciso di mettere a disposizione a sue spese delle visite gratuite, per permettere al pubblico di scoprire i 3.700 pezzi, di cui alcuni molto preziosi, contenuti nel museo.
Sarà come essere ospiti nelle stanze private di un generoso mecenate, che mostra la sua casa e le sue collezioni inestimabili. Le raccolte sono infatti il frutto dei viaggi di Emilio Carlo Mangini, commerciante, appassionato d'arte e scrittore di commedie in milanese, vissuto tra il 1912 e il 2003, e del figlio Giuseppe, morto prematuramente nel 1988. Ad animare Emilio Mangini era un gusto eterogeneo per il dettaglio: aveva un vero occhio clinico e giungeva a prendere oggetti che nella nostra vita abbiamo visto mille volte senza farci caso, ma che inseriti nella sua collezione suscitano subito una particolare attenzione.
E alla fine il «bottino» di tutto questo girovagare è stato catalogato e raccolto in 40 sezioni: non solo gli arredi che ammobiliano i cinque piani della casa, ma anche bauletti, ventagli, armi, lucerne, calamai, bacili da barba, chiavi, elemosinieri, cassette notarili, oggetti di chiesa, lanterne magiche, reperti archeologici, cofanetti e abiti femminili. Tra gli oggetti più curiosi ci sono la «cinquidea», uno spadone con l'impugnatura a forma di violino, ma anche la «tazza salvabaffi», per prendere il caffè senza macchiarsi gli ampi mustacchi un tempo di moda.
Una delle stanze più belle è quella dei giochi, perché permette di entrare di soppiatto nel mondo dell'infanzia dei nostri antenati. Di alcuni oggetti si è perso perfino il nome, come il «bilbouquet», composto da una boccia con un foro legata a una biglia in avorio. Il gioco consisteva nel lanciare verso l'alto il pallino e poi fare centro nel buco della boccia. Mentre gli iniziali progressi della meccanica sono documentati da una delle prime slot-machine proveniente dall'Inghilterra. Nove i giochi in scatola, dal Tibidò, una specie di Trivial pursuit, al tric trac, il preferito dagli scommettitori più accaniti, composto da 30 pedine, due dadi e un tavoliere con frecce bianche e nere.
Ma a creare il clima unico che si respira nel museo contribuisce innanzitutto l'abitazione in cui sono ospitate le collezioni, come si capisce subito attraversando il porticato del piano terra e il cortile. I più antichi documenti sul palazzo risalgono al 1418, ma i sotterranei dove sono conservate le armi si trovano al livello stradale dell'epoca romana, nell'area un tempo vicinissima al Foro.
Apre casa Mangini catalogo curioso di tutto il Novecento
Visite gratuite due volte a settimana per scoprire 3700 pezzi: dalla tazza «salvabaffi» alla «cinquidea»
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