Archiviazione o nuove indagini? Il Gip decide il 2 febbraio

Gianfranco Fini e Francesco Pontone, tuttora indagati per truffa aggravata in relazione alla cessione della casa di Montecarlo di proprietà di An a una società off-shore per una frazione del suo valore di mercato, possono segnare sul calendario la data del prossimo 2 febbraio. Quel giorno, infatti, è stata fissata l’udienza per discutere la richiesta di archiviazione avanzata dal titolare delle indagini, Pierfilippo Laviani, e dal procuratore capo di Roma Giovanni Ferrara, e soprattutto l’opposizione all’archiviazione presentata da Roberto Buonasorte e Marco Di Andrea. Questi ultimi sono i due esponenti della Destra che con il loro esposto, che seguiva l’avvio dell’inchiesta del Giornale, avevano dato vita al fascicolo. La decisione se archiviare o se chiedere un supplemento di indagine spetterà a Carlo Figliolia, presidente dei gip capitolini.
Il fascicolo che vede Fini e Pontone indagati ha raccolto elementi che confermano puntualmente quanto scritto negli ultimi mesi dal Giornale. I magistrati hanno infatti provato che la casa che Anna Maria Colleoni donò ad An nel 1999 per la «buona battaglia» è stata poi venduta dall’ex tesoriere Pontone, delegato da Fini, l’11 luglio del 2008, alla società off-shore «Printemps ltd» per una cifra (300mila euro) che era almeno tre volte inferiore ai valori correnti di mercato. Nella casa, come è noto, è poi andato ad abitare Gian Carlo Tulliani, «cognato» di Fini, che per ammissione dello stesso presidente della Camera è proprio l’uomo che segnalò all’ex leader di An il compratore off-shore Printemps, che tre mesi dopo rivendette la casa per 330mila euro alla società gemella Timara (stessa sede, allo stesso indirizzo dell’isola caraibica di Saint Lucia). La Timara, poi, avrebbe affittato l’appartamento al giovane Tulliani. Con un contratto sul quale le firme di proprietario e affittuario sono uguali. L’aveva scritto il Giornale, lo ha confermato la procura (che pure, misteriosamente, smentì la circostanza il giorno in cui ricevette le carte per rogatoria dal Principato) senza alcun margine di dubbio: «Il contratto di locazione - scrivevano i pm nella richiesta d’archiviazione - intervenuto tra il locatore Timara Ltd, priva della indicazione della persona fisica che la rappresentava, e il locatario Giancarlo Tulliani reca sotto le diciture “locatore” e “locatario” due firme che appaiono identiche, così come quelle apposte sulla clausola integrativa recante la data 24/2/2009, allegata al contratto».
Nonostante le molte anomalie della vendita riscontrate dal pm Laviani e dal capo della procura Ferrara, i due magistrati - che incredibilmente iscrissero Pontone e Fini (quest’ultimo mai nemmeno interrogato) nel registro degli indagati solo lo stesso giorno in cui annunciavano di voler chiudere la pratica - a fine ottobre scorso hanno presentato al gip una richiesta di archiviazione. Secondo loro, infatti, mancavano «artifizio e raggiro» nella vendita, elementi costitutivi del reato di truffa aggravata. E mancavano perché Gianfranco Fini, all’epoca, era il presidente di An, dunque «rappresentante della stessa e titolato a disporre del suo patrimonio». Fini, padre padrone del partito, per i pm poteva dunque fare ciò che voleva, compreso alienare la casa ricevuta in eredità e vincolata a uno scopo (la «buona battaglia») per un prezzo irrisorio, senza considerare chi avrebbe finito per abitarci. Alla faccia degli iscritti di An e della volontà della Colleoni.
Più di un’anomalia è presente nella stessa inchiesta. Gli inquirenti hanno sempre sostenuto che Tulliani e il suo ruolo nella vicenda erano estranei alle finalità dell’indagine, e che l’elemento decisivo sarebbe stata la congruità o meno del prezzo di vendita. Eppure non solo su Tulliani, mai indagato né interrogato, sono comunque stati svolti accertamenti (sia sui movimenti bancari verso l’estero che, come detto, sul contratto d’affitto), ma quando è arrivata dalle autorità monegasche la prova provata che il prezzo di vendita della casa di boulevard Princesse Charlotte era troppo basso, anche quest’elemento è divenuto improvvisamente secondario. E il reato perseguito da penale è diventato improvvisamente «civile». Eppure, scorrendo i verbali delle persone sentite (oltre a Pontone, tra gli altri, l’ex amministratore di An Donato Lamorte e la segretaria di Fini Rita Marino) appare chiaro che ai magistrati interessava capire chi avesse ritenuto congruo quel valore. E, d’altra parte, le stesse testimonianze erano contraddittorie: Pontone il 14 settembre dichiarò che Fini aveva chiesto una valutazione a Lamorte «in quanto Lamorte era esperto in materia perché geometra e, in passato, immobiliarista». Ma proprio Lamorte, 24 ore più tardi, ai pm che gli chiedono conferma replica: «Certamente no». Dal fascicolo d’indagine, comunque, restano fuori molti aspetti ancora non chiariti della vicenda. L’acquisto della cucina e di altri mobili in un negozio romano, un cui dipendente ha raccontato al Giornale di aver visto anche Fini partecipare almeno due volte alle sedute con architetti e venditori. E il «filone caraibico», nato quando alcuni quotidiani di Santo Domingo hanno pubblicato un documento confidenziale del governo di Saint Lucia.

Una carta, riconosciuta come autentica dal ministro della Giustizia dell’isola, nella quale si affermava che Giancarlo Tulliani era il «reale beneficiario» delle due off-shore Printemps e Timara. E, dunque, anche il proprietario della casa svenduta da Fini.
GMC-MMO

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