"Arcipelago Battiato". Le isole del talento in un mare di musica

Due giorni per celebrare l'artista. Un'occasione per scoprire perle meno note. Con Malika Ayane

"Arcipelago Battiato". Le isole del talento in un mare di musica
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nostro inviato a Venezia

Che Franco Battiato fosse un arcipelago di ispirazione e follia è ormai patrimonio universale. Ma mai il suo genio era stato messo sullo stesso piano, una canzone dopo l'altra, una fase dopo l'altra sullo stesso palco, quasi da sembrare una collezione di emozioni che diventa il panorama di un artista. Lo ha fatto l'Archivio Storico della Biennale di Venezia per celebrare l'ottantesimo anniversario della sua nascita. Due spettacoli di seguito. E lo ha fatto bene, con una ricerca e un rispetto delle fonti come quasi mai si vede nelle celebrazioni di qualche artista o presunto tale.

Insomma, "Arcipelago Battiato" è stato pensato, realizzato e interpretato con un unico obiettivo, quello di riassumere l'esaltante ed esaltare il riassumibile, celebrando i pezzi e gli arrangiamenti migliori di Battiato e allo stesso tempo confermando quanto Battiato sia ancora simbolo del nostro tempo pur restandone ostinatamente fuori, vivendo scrivendo e pensando in una dimensione parallela talvolta eterea, talvolta carnale, sempre fantasiosa e fantastica eppure crudele e terrena.

Quindi un arcipelago.

E "Arcipelago Battiato" è stato giustamente il titolo di due serate, l'ultima ieri sera 18 novembre, andate in scena nel raffinatissimo Teatro alle Tese dell'Arsenale di Venezia, l'aria umida fuori, l'atmosfera emozionata e a tratti commossa dentro. Emozionata perché Battiato è una scoperta ogni volta. Commossa perché le trascrizioni e gli arrangiamenti dei compositori Leonardo Marino e Michele Tardini hanno miracolosamente illuminato le parti meno luminose della canzoni, quelle magari più funzionali alla melodia o legate a sensibilità oggi troppo ostiche per essere decifrate. Poi, certo, c'è la "quota Malika". Malika Ayane è stata la voce narrante e cantante del repertorio di Franco Battiato, lei versatile e talentuosa, capacissima di scendere nelle Sequenze e frequenze di un artista che nessuno prova neanche a imitare tanto era unico. Uno spettacolo fluido, lungo, pastoso e creativo sin dall'iniziale Pollution dal suo secondo disco omonimo del 1973. In questo spettacolo Le voci si fanno presenze, proprio come il sesto brano in scaletta tratto da un disco folle e sperimentale come Joe Patti's Experimental Group che Battiato pubblicò nel 2014 insieme con il gigantesco, meraviglioso, poetico Pino "Pinaxa" Pischetola, l'Houdini dei produttori italiani, l'unico ancora capace di avere un suono e di farlo riconoscere come proprio. Dopo il debutto del 17, confermano tutti, sono state corrette alcune sbavature e l'Arcipelago Battiato è ancora più a fuoco e ancora più ribelle. In scaletta non ci sono soltanto i brani più gustosi e famosi, non c'è soltanto la (grande) quantità di pezzi di Battiato che sono tuttora famosi e strafamosi. C'è Povera Patria (brava Malika sempre) ma ci sono anche lo strumentale Stati di gioia oppure Breve invito a rinviare il suicidio tratto da un disco magari non troppo considerato ma destinato a restare tra le pietre miliari di Battiato come L'ombrello e la macchina da scrivere del 1995. E c'è L'ombra della luce, una preghiera laica dal disco Come un cammello in una grondaia che attraversa il mistero della vita e della morte ma non è certamente uno dei brani più popolari di questo poeta asciutto e mistico morti nel 2021 con lo stesso garbo silenzioso che aveva sempre avvolto la sua vita privata.

Però, ad esempio, non si sentono le note de La cura, probabilmente il pezzo più famoso di Battiato e neppure quelle di Cerco un centro di gravità permamente o Summer on a solitary beach o Up patriots to arms, non c'è insomma il Battiato della svolta più popular ma non per questo meno convincente. In poche parole, l'Arcipelago Battiato andato in scena ieri sera al Teatro alle Tese è partito per raggiungere l'obiettivo più difficile, quello di arrivare all'essenza di un mistico prestato alla canzone, di un filosofo che faceva pop con la stessa naturalezza di quando leggeva opere in pashto o rivedeva il copione di Musikanten, il suo film incentrato su Beethoven.

Oggi, nell'epoca dell'appiattimento obbligatorio e del conformismo inevitabile, queste ore di spettacolo finiscono per essere una boccata d'ossigeno e di libertà che meriterebbero di essere replicate tante altre volte in giro per l'Italia. Pensateci, ne vale la pena.

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