Arrestato Ciancimino, l’oracolo di Santoro & Co.

Da più di un anno, a dispetto delle inchieste che pendono sulla sua testa, è diventato, parole sue, «l’icona dell’antimafia». «Re» di dibattiti e passerelle tv in tema di mafia e politica, oracolo preferito di Michele Santoro, che più di una volta lo ha ospitato ad Annozero. Una luminosa carriera sotto i riflettori, quella di Massimo Ciancimino: da figlio del sindaco mafioso di Palermo don Vito a juke box delle procure e delle trasmissioni televisive di sinistra, pronto a cantare a tono su qualsiasi tema. Una carriera luminosa ora stroncata dai pm che più hanno coccolato Ciancimino junior, quelli di Palermo, che, fulmine a ciel sereno, lo hanno spedito in carcere con l’accusa di avere preso una brutta stecca sull’ex capo della Polizia, ora direttore del Dis, Gianni De Gennaro. Calunnia pluri-aggravata, l’accusa mossa all’aspirante pentito mai riconosciuto come tale e sconfessato anche da alcuni magistrati - vedi quelli del processo Dell’Utri che non hanno voluto ascoltarlo - perché considerato inattendibile: per avere incolpato De Gennaro, «sapendolo innocente» di rapporti illeciti con Cosa nostra; e per essersi dato un “aiutino”, consegnando ai pm un «pizzino» attribuito al padre boss che contiene il nome dell’ex capo della Polizia e che invece, secondo i periti, è un falso, frutto di un abile copia e incolla.
L’arresto di Ciancimino junior è stato eseguito ieri mattina sull’Autosole, all’altezza di Fidenza. Massimuccio, con famiglia e scorta al seguito, stava andando in vacanza in Francia, a Saint Tropez. La Polizia emiliana invece, eseguendo l’ordine della procura di Palermo firmato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido, lo ha bloccato e portato in questura a Parma, per poi condurlo in carcere. Incredibile ma vero, nonostante il fermo in corso, Ciancimino ha continuato il suo «lavoro» di opinionista rispondendo al telefono ai cronisti e mandando sms. «È una battaglia dura – ha fatto sapere al blogger di Impresa Palermo – e sono e sarò sempre più solo. Ho paura di dover dare ragione a mio padre sul fatto di potere combattere un sistema troppo grande. Mi diceva che ero un povero illuso, parlare non conviene. Se avessi taciuto su tutto, oggi non mi troverei in queste condizioni. Non conosco De Gennaro, non avrei nessun interesse a calunniarlo. Non capisco il fermo. Dovevo essere ascoltato il 26 al processo Mori. Non mi sono mai sottratto a nessun provvedimento. Vivo sotto scorta».
E invece è proprio il pericolo di fuga la ragione addotta dai magistrati palermitani per giustificare il fermo che dovrà essere convalidato dal gip di Parma e poi trasmesso al gip di Palermo. «Sussistono fondati motivi – scrivono i pm – per ritenere che l’indagato si possa dare alla fuga. In tal senso depone la circostanza più volte riferita dallo stesso Ciancimino della sua disponibilità di dimore all’estero oltre che di ingenti mezzi finanziari tali da consentirgli in brevissimo tempo di darsi alla fuga».
A portare in carcere il figlio di don Vito un «giochetto» che Ciancimino junior avrebbe fatto almeno in un’altra occasione, quella della lettera (falsamente) indirizzata al presidente Silvio Berlusconi e all’onorevole Marcello Dell’Utri. Il nome di De Gennaro sarebbe stato «interpolato» (lo conferma il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo) nel biglietto consegnato ai pm prendendolo da un altro appunto di tutt’altro contesto. Roba facile da fare, con una buona fotocopiatrice. Ma i pm questa volta hanno indagato. E scoperto il trucco. Il nome di De Gennaro, effettivamente vergato a mano da don Vito, sarebbe stato aggiunto a quell’elenco di esponenti delle istituzioni a vario titolo membri di quello che Massimo Ciancimino ha definito il «quarto livello». Non è il solo «falso» di cui Ciancimino junior - già condannato per riciclaggio, sotto inchiesta a Ferrara per truffa allo Stato, a Palermo per concorso in associazione mafiosa e a Caltanissetta per calunnia e favoreggiamento, è sospettato. Anche un altro dei documenti consegnati ai pm insieme all’ormai celebre «papello» al centro della presunta trattativa Stato-Cosa nostra sarebbe un falso. Ora però è scattato l’arresto. E per di più da parte dei pm di Palermo che ne hanno difeso l’attendibilità contro tutto e tutti. Un brutto epilogo, per Massimo Rolex, il figlio più piccolo di don Vito del quale lo stesso sindaco boss aveva scarsa considerazione.

La conclusione logica per una tecnica, quella del dire e non dire, di aggiungere ogni volta elementi nuovi, sulla quale Ciancimino junior ha costruito la sua immagine di «icona dell’antimafia». Un’immagine cui certa sinistra ha creduto ciecamente.

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