Arrestato il poliziotto che lavò la piazza dopo l'uccisione di Benhazir Butto

A tre anni dalla strage in cui perse la vita la lleader pachistana moderata, finisce in carcere il funzionario accusato dalle Nazioni Unite di avere depistato le indagini. Il rapporto Onu punta il dito contro i servizi segreti che non protessero la rivale del presidente Musharraf

Un lancio di Al Jazeera riapre bruscamente uno dei grandi cold cases della scena internazionale. Alle 11 dell'altro ieri, la televisione araba annuncia che in Pakistan è stato arrestato un funzionario di polizia. Il nome del funzionario, Saud Aziz, al grande pubblico dice poco. Ma il funzionario ha ricoperto un ruolo chiave nelle ore in cui, il 27 dicembre di tre anni fa, venne assassinata Benhazir Bhutto, ex premier pachistana. Saud Aziz era il Cpo, il Chief police officer, di Rawalpindi. Fu lui a prendere in mano la situazione, dopo l'attentato. E, dice il rapporto della commissione di inchiesta Onu, fu lui a ordinare - a meno di un'ora e mezza dalla strage, quando la Bhutto era da poco stata dichiarata ufficialmente morta nell'ospedale locale - che gli idranti lavassero la piazza del massacro. Insieme al sangue vennero lavate via le tracce, gli indizi, tutto. Gli esperti di questo genere di attentati dicono che dopo un'impresa del genere - ci furono ventiquattro morti - i brandelli di corpi si raccolgono in genere a migliaia. Alla polizia scientifica, a Rawalpindi, in tutto vennero consegnati solo ventitrè reperti.
Per tre anni, il governo di Islamabad ha difeso in tutte le sedi la correttezza delle indagini compiute sull'attentato. Ma ora l'arresto di Saud Aziz sembra dire che la verità ufficiale, velocemente costruita e ostinatamente difesa, inizia a scricchiolare. Perché molti hanno pensato - e il rapporto Onu lo dice esplicitamente - che quando l'oscuro Cpo di Rawalpindi ordinò agli idranti dei pompieri di entrare in azione, è impensabile che agisse di testa sua. A muovere l'indagine erano, di fatto, i potenti signori dei servizi segreti pachistani, gli uomini dell'Isi. E dietro di loro si stagliava netta la figura di Pervez Musharraf, acerrimo nemico della Bhutto, allora - e fino all'agosto dell'anno successivo - presidente della Repubblica asiatica.
Della responsabilità di Musharraf hanno parlato subito dopo l'agguato i seguaci della Buttho. É presto per ipotizzare che i nuovi vertici pachistani abbiano deciso di andare a scavare fino in fondo sulle responsabilità del massacro del 27 dicembre 2007. Ma è certo che l'arresto di Saud Aziz suona come un campanello d'allarme per i «poteri forti» che, nella più blanda delle ipotesi, hanno permesso al commando di Al Qaeda di organizzare e realizzare indisturbato l'attentato.
Per le autorità pachistane, l'assassinio della Bhutto ha già responsabili precisi. Secondo l'inchiesta ufficiale, ad agire fu un solo attentatore, che prima sparò tre colpi di pistola contro la leader moderata, affacciata sul tetto della sua Land Rover, e poi si fece saltare in aria. L'analisi del Dna rimasto sulla pistola disse che l'attentatore (probabilmente dal nome di Bilal) aveva tra i 15 e i 16 anni di età. I mandanti, secondo l'inchiesta, erano gli uomini della locale filiale di Al Qaeda: con in testa quel Baitullah Mehsud che sarebbe stato a sua volta ammazzato il 23 agosto 2009 da un drone, un aereo senza pilota, delle forze statunitensi in Afghanistan. Ma che prima di venire ammazzato aveva fatto in tempo a negare qualunque responsabilità: "A me la Bhutto non piaceva per i suoi rossetti e per i suoi modi occidentali. Ma io ammazzo gli uomini, non le donne".
L'inchiesta indipendente dell'Onu - affidata ad una commissione guidata dal cileno Heraldo Munoz - aveva sottolineato come le accuse contro il gruppo di Baitullah Mehsud fossero basate unicamente su intercettazioni telefoniche realizzate dagli 007 dell'Isi e tutt'altro che univoche. E come nessuno, tra gli estremisti islamici indicati dalle indagini ufficiali come complici dell'attentato, fosse comunque presente a Rawalpindi al momento dell'attentato. All'elenco dei colpevoli, insomma, mancano quanto meno gli uomini che avevano accompagnato l'attentatore (a meno che non si pensi che un quindicenne potesse agire in totale solitudine con tanta efficienza). Ma l'inchiesta Onu punta il dito soprattutto contro la zona grigia dove in Pakistan gli uomini del terrore islamico si incontrano con gli apparati dell'intelligence, in un gioco di appoggi sotterranei che dura fin dai tempi della guerra sovietica in Afghanistan. É in quell'intreccio di rapporti, ipotizza l'Onu, che potrebbe trovarsi la spiegazione della totale assenza di misure di sicurezza che - nonostante gli allarmi che avevano preceduto la visita di Benhazir a Rawalpindi - rese possibile l'attentato.
Poi c'è il "dopo": l'improvviso lavaggio della piazza, che cancella ogni traccia. E, ancora più di questo, la decisione che viene imposta ai medici dell'ospedale di Rawalpindi che chiedono di eseguire l'autopsia sul corpo della Bhutto. Un esame che avrebbe chiarito una volta per tutte se a uccidere la donna era stato l'impatto con la carrozzeria della jeep, in seguito all'esplosione, come dirà la versione ufficiale, o se - come affermarono dei testimoni, rimasti senza riscontri - a uccidere la leader moderata era stato invece un preciso colpo di pistola alla testa. A vietare ai medici di compiere l'autopsia, in nome del "rispetto per il corpo" della vittima, fu il capo della polizia locale: sempre lui, quel Saud Aziz che da ieri è chiuso in una scomoda prigione pachistana.

Per ora, il Cpo è accusato solo di non avere protetto a sufficienza l'illustre visitatrice. Ma prima o poi gli chiederanno conto anche dei depistaggi. E chissà se a quel punto Saud Aziz vorrà raccontare chi c'era dall'altra parte del telefono, quando riceveva ordini sulla piazza

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