Il dramma del Medioriente negli scatti di Tugnoli, primo Pulitzer italiano

"Fa' che sia un racconto": all'ex Convento Francescano di Bagnacavallo, il dramma della guerra raccontato nella mostra di fotografie del reporter romagnolo del Washington Post

Il dramma del Medioriente negli scatti di Tugnoli, primo Pulitzer italiano
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"Fa che sia un racconto” è il titolo della grande mostra inaugurata in questi giorni nei suggestivi spazi dell’ex Convento San Francesco a Bagnacavallo, borgo medievale della bassa Romagna. Protagonista nel progetto espositivo è un figlio di queste terre, Lorenzo Tugnoli, fotoreporter del quotidiano americano Washington Post, unico giornalista italiano ad aver ricevuto il premio Pulizer per i suoi drammatici reportage in Medioriente, in particolare nell’area di Gaza dove è in corso l’immane tragedia che vede tra le principali vittime donne, bambini e popolazione civile.
Una mostra certamente di denuncia, quella di Tugnoli, sequenza di scatti in bianco e nero che vedono al centro proprio i più fragili in un reportage intervallato da testi poetici e installazioni, una sorta di percorso a inciampi che costringe al silenzio e alla riflessione. Tra questi il drammatico elenco dei nomi di tutti i giornalisti e fotoreporter rimasti uccisi a Gaza e nel Libano dall’ottobre 2023 ad oggi. A turbare e ad emozionare sono le immagini crude di distruzione e dolore per le tante vite spezzate, e il grido d’aiuto che diventa un monito nei confronti dell’indifferenza di chi quella strage potrebbe fermarla. Tra le lettere e le iscrizioni allestite nella mostra, colpisce quella che sembra la lettera di un padre a suo figlio, sono i versi di una poesia di Refaat Alareer, poeta e intellettuale palestinese, ucciso a Gaza in un raid israeliano all’inizio dell’escalation militare, nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023. La poesia si chiude con «Se dovessi morire, fa che sia un racconto»: monito a non dimenticare e invito a farsi testimoni della storia, verso che in mostra è stampato per esteso su un grande lenzuolo bianco.
E ancora, in mostra ci sono anche 140 testi, tra convenzioni e trattati internazionali volti a regolare i rapporti tra Palestina e Israele, per un totale di 36.000 pagine consultabili dal pubblico e disposti a creare un ambiente volutamente labirintico e un passaggio obbligato. Tra i documenti: la Convenzione contro il genocidio e Convenzione dei diritti umani; i tre rapporti di Francesca Albanese, Special Rapporteur per la Palestina, prodotto dall’inizio dell’escalation militare; i report indipendenti di ONG di altissimo profilo come Amnesty International e Medici Senza Frontiere. È l’occasione per prendere consapevolezza di tutte le violazioni dei diritti umani che hanno condotto alla rottura dell’ordine costituito, immaginato dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
«Se il registro primario di “fa che sia un racconto” è quello della fattualità documentaria – sottolinea la curatrice Francesca Recchia - il sottotesto è poetico e riflessivo: un’occasione per soffermarsi e mettere a fuoco i valori della solidarietà, della resistenza e del diritto all’autodeterminazione.

Da una parte siamo testimoni – a volte passivi, complici o indignati – di una brutalità senza precedenti; dall’altra assistiamo sia al rischio di assuefazione sia di una presa di coscienza delle numerose omissioni da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Giri di parole, disumanizzazione, eufemismi e censure offrono degli scorci ideologici e parziali che mettono in discussione le radici stesse del diritto fondamentale di conoscere i fatti».

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