Saint-Paul de Vance: la cittadina dove l’arte (del ’900) si è fermata

In Provenza, una collezione unica fra opere di Miró, Giacometti, Braque...

Saint-Paul de Vance: la cittadina dove l’arte (del ’900) si è fermata

da Saint-Paul de Vence

Le due mostre in contemporanea alla Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence, quella della scultrice Barbara Hepworth e del fotografo André Ostier (rispettivamente sino al 2 novembre e al sette settembre) confermano ciò che nel suo sessantennio ormai di vita l’istituzione voluta da Marguerite e Aimé Maeght ha sempre rivendicato: lo stretto connubio fra una creatività artistica e il legame amical-intellettuale degli artisti chiamati a esporre in quella sede così particolare. Le immagini fotografiche rimandano infatti a volti e nomi che sono un tutt’uno con la Maeght, da Giacometti a Mirò, da Calder a Chagall, alla stessa Hepworth, le cui sculture in bronzo fanno bella mostra di sé nelle sale non a caso intitolate a Braque o a Kandinskij, nonché agli stessi nomi prima ricordati. È insomma una sorta di cerchio perfetto dove l’inizio e la fine appartengono a una stessa linea che non sembra mai interrompersi, un hortus conclusus che da un lato simboleggia e in qualche modo rivendica la singolarità della Maeght, il suo «non essere un museo» come sottolineò l’allora ministro della Cultura André Malraux nel suo discorso inaugurale, l’anno era il 1964, ma dall’altro finisce con il sottolineare come quella singolarità si sia nel tempo estremizzata e fattasi avulsa rispetto alla realtà che la circonda, non dinamo culturale in grado di irradiarsi sul panorama circostante, ma una sorta di unicum , questo sì museale, ovvero una cattedrale nel deserto per addetti ai lavori nonché per turisti più o meno acculturati.

Vediamo di spiegarci meglio. In quel 1964 in cui la Maeght aprì le sue porte, Saint-Paul de Vence era ancora una cittadina cinta dalle sue mura cinquecentesche dove si potevano vedere per strada Jacques Prevert, poeta e sceneggiatore, che ne aveva fatto la sua residenza, Yves Montand e Simone Signoret, che si erano sposati nel locale municipio, scrittrici come Françoise Sagan, musicisti come Joseph Kosma, registi come Michel Carné, attori come Jean Gabin, Jean-Paul Belmondo, Lino Ventura... Era un’onda lunga cominciata già alla fine degli anni Quaranta e irrobustitasi nel decennio successivo quando La Colombe d’or, aperta da Paul e Titine Roux, diveniva sempre più il luogo preferito di artisti come Dufy, Léger, Segonzac, Signac che spesso pagavano vitto e alloggio con un quadro...

L’essere in collina, ma non lontano dal mare, Antibes, Cagnes- sur-Mer, il clima mite del Midi, ne faceva una sorta di oasi dove il tempo era scandito dalle partite di bocce nella place Charles de Gaulle, subito sotto le mura, fra una pastis al Café de la Place e un ravioli-niçoise al ristorante Le Tilleul, dove si mangiava all’ombra del gigantesco quanto maestoso tiglio che gli aveva dato il nome.

La fondazione Maeght nacque insomma in quello che sembrava essere un terreno culturalmente fertile, dove non era insolito vedere l’editore Claude Galllimard curiosare fra gli scaffali della piccola ma ben fornita libreria lungo la stradina principale che arrivava sino al cimitero di Saint-Paul de Vence che nel 1985 Marc Chagall avrebbe scelto come sua ultima dimora terrena.

Aimé e Marguerite Maeght si erano conosciuti ventenni, a Cannes, alla fine degli anni Venti: lei figlia di ricchi commercianti, lui cromista-litografo. Sposatisi, Aimé aveva messo su una tipografia, Marguerite un negozio di radio dove erano in vendita anche mobili disegnati dal marito, che aveva studiato all’Istituto di Belle arti di Nîmes. L’amicizia con Pierre Bonnard e più tardi con Henri Matisse, che vivevano non lontano da Cannes, a Le Cannet il primo, a Vence il secondo, spingerà subito dopo la fine della guerra Aimé Maeght a fare il salto e a consacrarsi al mestiere di mercante d’arte. È del dicembre 1945 l’apertura a Parigi della Galerie Maeght, a cui viene ben presto abbinata la rivista Derrière le miroir , dove pubblica Aragon, Eluard, René Char... Nel 1947, l’Exposition internationale du surréalisme, curata da André Breton e Marcel Duchamp, impone la galleria nel mondo artistico parigino e da Derain a Giacometti e in seguito a Calder la cerchia di artisti- amici di Aimé e Marguerite Maeght si fa sempre più prestigiosa.

Nel 1953, un grave lutto colpisce la coppia, la morte per leucemia del loro secondogenito, Bernard. I due lasciano Parigi e si rifugiano a Saint-Paul de Vence, dove anni prima avevano comprato una casa per le vacanze. È qui che, come racconterà Aimé, Georges Braque gli suggerisce di non lasciarsi abbattere e di creare un qualcosa che, nel nome dell’arte, sia un tributo alla memoria del figlio. Se lo fai, rafforza il suggerimento Fernand Léger, «vengo con tutti i miei attrezzi e ti dipingo anche i massi, le rocce»...

Un viaggio negli Stati Uniti, a visitare le grandi fondazioni d’arte americane, Barnes, Phillips, Guggheneim, apre gli occhi a Marguerite e Aimé Maeght su ciò che non dovrà essere la loro creazione, la conoscenza di Josep Lluís Sert, che ha appena realizzato l’atelier Joan Miró a Palma de Maiorca, gli fa capire il tipo di architettura perfetto per il loro progetto. Tornati a Saint-Paul, durante una passeggiata in collina, appena fuori dalla cittadina, l’imbattersi nelle rovine dell’antica cappella dedicata a Saint Bernard, lo stesso nome del figlio scomparso, appare loro come un segno del destino. Nel 1960, Sert inaugura proprio lì il cantiere e tutti gli artisti amici si industriano per arricchire gli spazi interni ed esterni che sorgeranno: terrazze, impluvi per i bacini d’acqua, sale espositive. È di Miró il Labyrinth , sculture monumentali e opere murali in marmo, ferro, ceramica, che si snoda nel giardino; è di Braque il mosaico ittico del patio; sono di Giacometti le figure filiformi della corte; è un regalo di Balenciaga il Cristo medievale in legno che si staglia nella chiesetta ricostruita...

Nel luglio del 1964, come già ricordato, André Malraux tiene a battesimo quella che è ufficialmente la fondazione Maeght, una sorta di galleria a cielo aperto e, come egli stesso puntualizza, «qualcosa che non è in alcun modo un palazzo, in alcun modo un luogo di esposizione e, diciamolo subito, perché il malinteso andrà crescendo e imbellendosi, in alcun modo un museo». Come era accaduto per la pipa di Duchamp, « ceci - aggiunge ironico lo scrittore e ministro - n’est-as un Musée »...

Scomparsi i suoi fondatori, nel 1972 Marguerite, quattro anni dopo Aimé, è il figlio primogenito Adrien a essere da allora il presidente. Sotto di lui ci sono state un centinaio di mostre, l’apertura di nuove sale, un patrimonio arrivato alle 13mila opere e a 40mila libri d’arte, frutto di doni, acquisizioni, lasciti degli stessi artisti.

Eppure, a distanza di sessant’anni, è come se a essersi ristretto sia stato il paesaggio artistico-culturale di Saint-Paul de Vence. Le gallerie d’arte che lo punteggiano sono ripetitive quanto commerciali nel gusto e nelle offerte, le botteghe artigiane si sono rarefatte e offrono soprattutto paccottiglia turistica, non c’è nemmeno una libreria, la Colombe d’or è una colonia di avventori d’oltreoceano... La stessa modernità artistica tende all’invecchiamento, perché dopo aver sperimentato tutto è difficile trovare qualcosa di nuovo e, va da sé, i Miró, i Braque, i Léger non spuntano a ogni angolo di strada.

Persino le grandi installazioni presenti a rotazione alla Fondazione danno un senso di déjà vu , di esaurimento, un nuovo che ha il sapore dell’usato. Viene in mente quella frase di Ennio Flaiano: «Non comprate arte contemporanea. Fatevela da soli»...

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