Gli artisti in guerra contro i giudici e le banche Pinketts, Michelangelo jr e Mannarelli si incatenano davanti alla cascina Bianca di Savoia a Campomorto La protesta: «Prima il tribunale e gli istituti di credito ce l’hanno portata via, adesso la stann

L’auto fende la nebbia come una lama bianca. Si ferma nelle campagne tra Milano e Pavia. Davanti a una cascina. In tre scendono. Andrea Pinketts, lo scrittore. Massimo «Running» Mannarelli, l’uomo che nel suo locale - «le Trottoir» - organizza mostre, concerti e incontri letterari. In una parola, cultura. Il terzo è il performer Michelangelo jr. Quell’auto è una limousine. «Perché alla guerra contro i signori - dice Pinketts - ci si va da signori». Si incatenano. Questa è la loro battaglia. È la battaglia degli artisti contro i giudici e le banche. Contro chi ha messo le mani su un edificio che data l’anno mille, e che, a dispetto dell’anno mille, cola il cemento e usa le ruspe.
Storia pluriennale di tribunali e periti, di notifiche che non arrivano e che - denunciano gli «incatenati» - riposano negli armadi di una procura. Storia della Cascina Bianca di Savoia, in quel di Campomorto, che è un gioiello dell’architettura rurale lombarda con tanto di parco, fiume e laghetto, e che con un gioco di consulenze tecniche e decreti di esecuzione e di trasferimento ritenuti quantomeno «sbrigativi» viene tolta al legittimo proprietario (Massimo Mannarelli) e finisce a un architetto che se l’aggiudica per poche migliaia di euro. Meglio di una lotteria. Non solo. Perché, pescato il biglietto vincente, l’architetto decide che la cascina - le cui fondamenta risalgono all’anno mille - ha bisogno di qualche ritocco. Via un muro maestro di 25 metri. Via il mulino. Via qualche finestra. Tolto l’essenziale, si aggiunge il superfluo. Cemento e travi e altro cemento.
«Opere non consentite», scrivono gli avvocati Daniele Steinberg e Raffaella Greco nel ricorso presentato in tribunale. E non sono solo quegli interventi a essere «illegittimi». È l’intera procedura giudiziaria a lasciare perplessi. «Running», in verità, lo dice in maniera diversa. «La cascina è mia da 20 anni. In questa storia c’è del marcio». Steinberg e Greco, infatti, denunciano «la superficialità e perfino l’inesistenza di approfondite indagini per fatti di rilevanza penale che coinvolgerebbero una consolidata e ben organizzata associazione di persone, resa ancora più attiva e sostenuta anche da identificabili funzionari del tribunale, per il controllo e il dirottamento della vendita giudiziale». Un vicenda condizionata da una «scorretta notifica e una falsa perizia». In breve. Una banca («ritenuta complice, anche passiva, dei fatti», scrivono i legali) vanta un piccolo credito con Mannarelli. L’istituto decide di mettersi in pari acquisendo la cascina. Viene nominato un perito, che la valuta poco più di 20mila euro (la controperizia la stima intorno al milione!). La procedura è seguita da un cancelliere poi denunciato per l’«occultamento o la sottrazione di originali e rilevanti atti giudiziari dal fascicolo della procedura esecutiva immobiliare». L’edificio viene messo all’asta. Se lo aggiudica un architetto che, dopo i lavori di demolizione e ricostruzione, sparisce. Tutto questo, all’insaputa di «Running». Che si accorge delle novità quando ormai è tardi. Quando arriva alla cascina, e trova una squadra di operai romeni al lavoro. Il meccanismo è diabolico. In attesa che un giudice - il terzo passato a occuparsi di questo labirinto - metta fine alla disputa, gli artisti hanno deciso. Si va alla guerra.

«Come vecchi commilitoni - dice Pinketts - richiamati per una giusta causa».
E la guerra sono le catene. Legati sulla terra che gli appartiene. Pare poco? Affatto. «Sarà una protesta nel deserto - è la profezia dello scrittore - ma nel deserto è nata anche Las Vegas».

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