Assad: «Complotto contro di noi»

Carlo Sirtori

«A parte Allah, Bashar al Assad è un presidente che non s’inchina davanti a nessuno». Ieri mattina, all’Università di Damasco, c’era l’atmosfera giusta per un discorso esplosivo: diretta televisiva, folla in delirio, cori che intonano «Allah, Siria, Bashar», sventolio di bandiere. E il presidente siriano Assad non si è lasciato sfuggire l’occasione. Con il suo Paese stretto in un angolo dalla risoluzione Onu 1636 dello scorso 31 ottobre - che intima a Damasco piena collaborazione nell’indagine che si occupa dell’omicidio dell’ex primo ministro libanese Rafic Hariri, avvenuto lo scorso 14 febbraio - Assad ha dapprima accennato una difesa dalle accuse che pesano sul suo regime, ma poi è partito lancia in resta, rispolverando la vecchia teoria del complotto.
«La Siria non è coinvolta né a livello statale, né a livello individuale» nell’assassinio di Hariri, ha tuonato Assad, mentre «il Libano è diventato un condotto, un finanziatore e una fabbrica di complotti contro Damasco». Facendo implicitamente riferimento a presunte responsabilità di Stati Uniti e Israele nelle pressioni dell’Onu sulla Siria, il presidente siriano ha chiamato «mercanti di sangue» i seguaci di Hariri e attaccato il premier libanese Fuad Siniora definendolo «schiavo di uno schiavo». «Sosteniamo la legalità internazionale - ha proseguito - ma non a spese del nostro interesse nazionale».
Assad aveva saputo proprio ieri mattina che Detlev Mehlis, capo degli ispettori Onu, aveva opposto un secco no alla richiesta di Damasco: il governo siriano vuole che i suoi sei dirigenti sospettati di essere coinvolti nell’uccisione di Hariri vengano intorrogati non a Beirut (come chiesto dalle Nazioni Unite), ma in Siria o al Cairo.

E così ha creduto opportuno mettere le mani avanti: «Non importa cosa facciamo e quanto cooperiamo, il risultato tra un mese sarà che la Siria non ha collaborato».
In serata, è arrivata la reazione da Washington. Il portavoce della Casa Bianca ha definito l’intervento di Assad «oltraggioso e deplorevole».

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