Almasri, i ministri verso il processo. Meloni archiviata

La premier: "Scelta assurda". Chiesta l'autorizzazione anche per Mantovano

Almasri, i ministri verso il processo. Meloni archiviata
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La rivelazione arriva improvvisa, nella serata di inizio agosto, da parte di Giorgia Meloni. Dopo molti mesi di indagine e altrettanti di riflessioni, il tribunale dei ministri di Roma ha deciso di portare sul banco degli imputati tre esponenti del governo indagati per la mancata consegna al tribunale dell'Aja del generale libico Nijem Osama Almasri, ricercato per crimini contro l'umanità. Sotto inchiesta, insieme alla Meloni, erano i ministri dell'Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e il sottosegretario ai servizi segreti Alfredo Mantovano. Alla Meloni, i giudici romani hanno comunicato che la sua posizione verrà archiviata. Nulla, invece, è stato comunicato agli altri indagati. La deduzione della premier è logica, inevitabile: per loro, si prepara l'incriminazione davanti alle Camere.

È una svolta inattesa, dopo settimane in cui era circolata con insistenza la voce secondo cui i giudici si preparavano a chiedere al Parlamento di procedere solo contro Nordio per il reato di omissione di atti d'ufficio, e di chiedere l'archiviazione per Meloni, Piantedosi e Mantovano. L'incriminazione dei membri del governo nasce dalla denuncia presentata dall'ex senatore dell'Italia dei Valori Luigi Li Gotti, difensore di molti pentiti di mafia, in relazione ai giorni convulsi del gennaio 2025, quando Almasri dopo essere stato fermato a Torino venne riconsegnato con volo di Stato alla Libia anziché venire consegnato alla Corte penale internazionale. Le accuse: peculato (per l'utilizzo dell'aereo di Stato), favoreggiamento, omissione. Nel testo notificato alla Meloni si apprende che decisivo per il suo proscioglimento è stato il capo dei servizi segreti Giovanni Caravelli, secondo cui la Meloni "era stata sicuramente informata" di quanto stava accadendo ma non è certo che abbia partecipato alle decisioni, "ritengo sulla base di indicazioni che mi dava il sottosegretario Mantovano che fosse d'accordo". Caravelli però non ha spiegato "quali fossero le indicazioni su cui aveva fondato una simile valutazione". E a colmare la lacuna non basta il fatto che all'indomani della riconsegna il governo libico avesse ringraziato la Meloni, perché "nel linguaggio protocollare" i ringraziamenti di un capo del governo vengono sempre inviati al suo omologo. "Gli elementi indiziari - concludono i giudici - non sono dotati di gravità tale da affermare in che termini la presidente del Consiglio abbia condiviso la posizione aggiunta rafforzando il proposito criminoso".

"Proposito criminoso": questo è quanto i giudici della Capitale sembrano invece decisi a contestare a Nordio, Piantedosi e Mantovano. Il provvedimento del tribunale viene ora trasmesso alla Procura di Roma, che dovrà chiedere al Parlamento l'autorizzazione a processare i tre membri del governo. Non sarà una discussione né facile né veloce, e terrà per mesi il governo sulla graticola politica e mediatica, intorno a un tema delicato come quello dei rapporti internazionali e dei diritti umani. Ma l'esito appare segnato: la maggioranza si prepara a rifiutare l'autorizzazione a procedere, affermando che il governo ha operato in nome della "sicurezza dello Stato": come già spiegato pochi giorni fa alla Corte dell'Aja.

Giorgia Meloni intanto manda un messaggio chiaro: "A differenza di qualche mio predecessore, rivendico che questo governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io prima di loro".

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