"Occupiamo Gaza, ok di Trump". Svolta di Israele per i 20 ostaggi

Il governo rompe gli indugi. Operazione di terra fino Gaza City dove sono tenuti nascosti i rapiti. Decisivo l'appoggio degli Usa

"Occupiamo Gaza, ok di Trump". Svolta di Israele per i 20 ostaggi
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Alla fine l'appello di oltre 600 ex comandanti e operativi dei servizi di sicurezza israeliani non è servito a nulla. I 600, tra cui ex capi di Stato maggiore dell'esercito ed ex direttori dello Shin Bet e del Mossad, avevano firmato una lettera che chiedeva a Donald Trump di bloccare una nuova offensiva nella Striscia. Un'offensiva che a detta dei 600 mette a rischio la sopravvivenza dei 20 ostaggi ancora in vita senza cancellare la presenza di Hamas. Ma il presidente Usa, stando a quanto si è appreso ieri sera, ha preferito far orecchie da mercante e concedere a Netanyahu il via libera all'occupazione totale di Gaza. «Israele e Washington concordano sul fatto che Hamas non voglia un accordo» fanno sapere fonti israeliane.

Il via libera conferma l'intesa raggiunta da Netanyahu e dall'inviato della Casa Bianca Steve Witkoff che prevede la fine dei cosiddetti «accordi parziali» ovvero i negoziati con Hamas per il rilascio, di volta in volta, di un numero limitato di ostaggi. L'accordo arrivato dopo il ritiro dalle trattative di Doha della delegazione jihadista prevede ora un ultimo negoziato per il rilascio di tutti gli ostaggi in un solo colpo. Un negoziato seguito, in caso di risposta negativa di Hamas, da un'offensiva militare di intensità senza precedenti nella zona di Gaza City ancora nelle mani del gruppo terrorista. Tra quelle rovine, difese da due brigate di Hamas, si nasconderebbero le prigioni e i tunnel in cui sono tenuti gli ostaggi. Ma l'operazione - fanno capire i ministri più oltranzisti del governo - non terrebbe conto delle vite dei prigionieri e avrebbe come unica priorità la distruzione del nemico e l'occupazione completa della Striscia. Per questo sul piano non si erano pronunciati - in attesa dell'imprimatur della Casa Bianca - né il premier, né il ministro della Difesa Israel Katz.

Il tema in compenso divide ministri e capi degli apparati di sicurezza. Il responsabile degli affari Strategici Ron Dermer, assai vicino al premier, guida la pattuglia dei falchi in cui militano i ministri «messianici» Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir. Dall'altra parte troviamo il capo di Stato maggiore Eyal Zamir, il ministro degli esteri Gideon Sa'ar, il Direttore del Mossad David Barnea e il misterioso Mr Mem capofila del negoziato per lo Shin Bet. Anche l'appello dei 600 e un video con la collaborazione di 19 ex comandanti dell'esercito assieme ad ex direttori del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e dell'intelligence militare puntava a scongiurare quel piano. Al video hanno partecipato ex capi di Stato maggiore come Ehud Barak, Moshe Ya'alon e Dan Halutz, l'ex direttore dello Shin Bet Yoram Cohen ed ex capi del Mossad del calibro di Tamir Pardo, Efraim Halevy e Danny Yatom. Tutta gente che in carriera non ha certo privilegiato la moderazione strategica o l'inerzia tattica.

Tutta gente pronta ora ad «alzarsi in piedi per dire ciò che dobbiamo dire» spiega nel video Ayalon. «Questa guerra - aggiunge l'ex capo dello Shin Bet - ha smesso di essere una guerra giusta e sta portando lo Stato di Israele alla perdita della sua sicurezza e identità».

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