Assalita base norvegese: 4 morti

Nostro inviato a Kabul
Diciannove morti e decine di feriti. La guerra santa alle vignette anti-Islam porta ancora morte e sangue. E, come sempre, a farne le spese è gente del popolo che ci finisce in mezzo probabilmente senza nemmeno sapere perché. Nel giorno in cui la protesta si fa più violenta anche nella capitale, tutto il Paese sembra essere preso dal contagio. In un rigurgito di fanatismo che è difficile prevedere dove possa portare. A Kabul c'è chi dice che tre giorni di festa, oggi è la vigilia della Sura, placheranno gli animi. Chi, invece, è sicuro che i focolai divamperanno presto un po' dovunque.
Ieri la situazione più grave a Maimana, dove a esser presa d'assalto è una base distaccata della missione Isaf, il contingente multinazionale spedito in Afghanistan dall'Onu. Un presidio affidato ai militari norvegesi. Su cui, dunque, sventola una bandiera che in questi giorni fa sugli islamici l'effetto del drappo rosso per il toro.
In mattinata una manifestazione di trecento persone arriva a presidiare il comando. La gente aumenta fino a che almeno 1.300 persone tentano di prender d'assalto la palazzina difesa da un'ottantina di soldati. Sfondato il cancello d'ingresso con l'assoluta indifferenza della polizia locale, la folla incendia alcune auto costringendo i norvegesi a sparare i lacrimogeni. Sollecitata dal ministero afghano e dal generale Mauro Del Vecchio, comandante della missione Isaf, la polizia interviene. Ma, durante gli scontri, i dimostranti più esagitati sparano con pistole e fucili. Poi arrivano fino a lanciare granate e bombe a mano. Una o due delle quali esplodono in mezzo alla folla.
Alla fine il bilancio parla di quattro morti e di una ventina di feriti tra gli afghani e di almeno quattro soldati danesi costretti a essere medicati. Per un reporter francese i militari dell'Isaf avrebbero sparato sulla folla. Circostanza assolutamente smentita dal comando Isaf. Che, comunque, prevedendo per oggi un inasprirsi della protesta, sul posto invia un contingente di riserva pronto a intervenire.
A Kabul, arrivata per incontrare il presidente Amid Karzai, c'è il sottosegretario di Stato agli Affari esteri Margherita Boniver. «Vengo - spiega - da una Repubblica islamica come il Pakistan. Nessuno lì ha sollevato il problema della blasfemia. E a Islamabad solo pochissime persone sono scese in piazza e in modo assolutamente pacifico. Credo sia chiaro che questo episodio ha scatenato un'offensiva manovrata dai terroristi. Certamente c'è stata un'offesa involontaria, ma la reazione è stata inaspettata e spropositata. Del resto altrimenti non si spiegherebbero le reazioni diversissime di Paesi come il Pakistan e la Siria. Chiaro che non si tratta di reazioni di sdegno, ma solo di manifestazioni politiche organizzate con scopi torbidi».
E le vittime sono anche gli italiani della missione di pace stanziati ad Herat, nell'est dell'Afghanistan, non lontano dall'Iran. Terra di confine e di tensioni. Anche qui lo stesso copione: manifestazione, sassaiola, vetri rotti. Fortunatamente nessun ferito e nessun colpo d'arma da fuoco. Situazione analoga a Polikumri dove ad essere assaltati sono i militari Isaf olandesi. Ma qui la polizia locale riesce velocemente a disperdere il corteo.
Una strage, invece, a Kandahar, nel sud ancora in mano ai talebani. Un kamikaze in motocicletta, con procedura sempre più diffusa, si è fatto esplodere davanti a un commissariato della polizia afghana. L'esplosione e un numero di morti che probabilmente nessuno è in grado di contare. La cifra ufficiale dice tredici, sono forse di più. Immediata la rivendicazione dei talebani del Taleban Qari Mohammad Yosuf che si assumono la responsabilità dell'attentato. Aggiungendo, con parole assolutamente inverosimili, che almeno 20 poliziotti sarebbero stati vittima dell'attacco suicida.


«Sono momenti difficili - spiega il generale Del Vecchio - che non a caso si ripetono sempre in momenti particolarmente importanti per il nuovo Afghanistan che vuol cambiar vita. Certo ora i focolai di violenza si stanno moltiplicando. E a essere bersaglio siamo anche noi occidentali».

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