Assalto ad Arcore, la villa più spiata al mondo

Come violare l’inviolabile e vivere sereni. Sereni e spavaldi per aver setacciato, in affronto a qualsiasi legge e autorizzazione parlamentare, grazie ad un gioco di intrecci davvero originale, ogni centimetro della vita pubblica e privata, non solo dalla cintola in su o in giù, del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Un’azione sistematica, compiuta da parecchi mesi a questa parte, con dovizia e dispendio di uomini, mezzi, e tempo prezioso. Se vogliamo dare il peso giusto alle parole e credito ipotesi di reato è questo ciò che ci raccontano le 389 pagine messe insieme nel faldone presidenziale dai giudici milanesi, partiti, con l’invidiabile sprint dei maratoneti.
Solo che nel loro agire, tempestivamente e puntigliosamente, non sembrano nemmeno essersi conto di essere entrati a rovistare, altra gravissima violazione, anche nella segreteria politica di un partito che proprio nell’ampia area di Villa San Martino, trova al sua sede.
Siamo sinceri, nemmeno a Totò Riina è stato riservato, a suo tempo, un trattamento così scrupoloso, un’attenzione così spasmodica e puntuale. Già, ma forse il Totò dei pizzini non valeva quanto il Silvio B delle presunte lettere, con le presunte regalie alle presunte compiacenti donnine che, sempre le convinzioni di alcuni magistrati, gli avrebbero procurato due dei suoi incorreggibili compagni di merende, Dario, meglio conosciuto come Lele, Mora ed Emilio Fede.
Fatto sta che, partita retroattivamente e in sordina come si conviene agli spioni che fanno dello spionaggio la loro ragione di vita, la magna inchiesta sul più pericoloso Cavaliere d’Italia è diventata una corsa da Guinness dei primati. Tutti a correre dietro ad un cella. Una qualsiasi cella telefonica penetrata, agganciata o anche solo transitata dalle parti delle famigerata Villa di Arcore per poi ricostruire i movimenti di ciascuno e di conseguenza valutare se qualcuno di quei ciascuno rivestisse una qualche importanza nel gioco all’incastro del premier. In altre parole per portare Silvio B, tramite una cella telefonica, direttamente in un’altra cella, una con le sbarre, come tanto vorrebbero i giustizialisti di Repubblica.
Così una volta scoppiato o, forse è più esatto dire, fatto riscoppiare, come una bomba ad orologeria, casualmente dopo la fiducia conquistata dal premier 14 dicembre in Parlamento, il caso Ruby ha offerto lo spunto agli investigatori per tracciare la rotta (sì, proprio come il navigatore che abbiamo in auto) di tutte le mosse: dal garage di casa, al pizzicagnolo, dalla visita dall’oculista al mercatino dell’antiquariato, compiute sì da amici e conoscenti del Cavaliere ma anche da inconsapevoli cittadini. Con l’unica colpa di aver in tasca un telefonino. Perché in questo festival delle intercettazioni è accaduto che i tecnici hanno dovuto controllare anche il banale. Messi infatti sotto controllo i telefoni di Emilio Fede e di Lele Mora, agli investigatori dalle grandi orecchie è toccato ascoltare persino le più inutili delle conversazioni telefoniche, fatte da noiosi interlocutori, prima di poterli scartare perché ritenuti appunto irrilevanti ai fini dell’inchiesta. Ma intanto questa abnorme, preoccupante e soffocante ragnatela di fili, volti e facce che s’intrecciavano, grazie all’esercito degli spioni reclutato come se il premier fosse in procinto di commettere come minimo un colpo di Stato, sì è andata ad ingrandire sempre più. Tutto e tutti, a quel punto hanno cominciato passare sotto la lente d’ingrandimento degli spioni. Violata non la residenza privata del premier, violata anche la sede della sede della sua segreteria politica sono stati intercettati inevitabilmente, altra gravissima violazione, anche i suoi colloqui con capi di Stato e di governo, uno fra tutti Putin, e tutti coloro che ad Arcore ci sono venuti per colloqui di istituzionali.
Promossa a centrale dello spionaggio la villa berlusconiana si è quindi rivelata pericolosa. Pericolosa per chi l’ha frequentata per prendere cornetto e cappuccino assieme a Silvio, per una colazione o una cena di lavoro ma persino per chi si è trovato ad entrare ad Arcore per riparare il rubinetto di uno dei bagni presidenziali o per consegnare magari la piccola pasticceria destinata ad un party. O anche solo per chi ha portato il cane passeggiare nei dintorni. Addirittura col telefonino spento in tasca. Sì, perché la cella si aggancia ugualmente anche se il telefono è spento, come sappiamo. Dannazione, un lavoraccio per tutta quella gente che, sempre con le orecchie tese, non si è mai potuta concedere un attimo di pausa in tutti questi mesi per far entrare nella storia del crimine Villa San Martino.

Provate ad immaginare la nuova centrale della spionaggio: cimici disseminate nei forni delle grandi cucine, dietro gli appendiabiti, negli armadi con scheletri annessi, nelle stanze da bagno dove signore e signorine si sarebbero susseguite come alle fermate del metro. E naturalmente nel posto più strategico e classico: tra federe e lenzuola. Dove, diciamolo una volta per tutte, le cimici quando ci sono, danno anche un po’ di prurito.

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