Assalto a Berlusconi. "Un patto segreto tra Mediaset e la Rai"

Su "Repubblica" le telefonate tra i dirigenti delle due aziende. Schifani: "Solo un’operazione mediatica". "Bomba su dialogo", ma Veltroni e il Cavaliere fissano il primo vertice. Il Guardasigilli Mastella: "Le intercettazioini non dovevano uscire"

Assalto a Berlusconi. "Un patto segreto tra Mediaset e la Rai"

da Roma

Giornalisti che si accusano tra loro, politici di sinistra che invocano epurazioni in Rai. Altri che sorridono e domandano: «Ma di che vi stupite?». La commissione di vigilanza pronta a intervenire, la Cgil pronta allo sciopero a viale Mazzini. E soprattutto un accenno d’intesa tra i Poli sulle riforme che rischia di frantumarsi. È successo tutto questo, ieri, per un articolo, di Repubblica. Titolo in prima pagina, «L’alleanza segreta tra Rai e Mediaset» ai tempi del governo Berlusconi: «l'informazione pilotata a favore dell’ex premier». Una bomba. «A orologeria», dice il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi.
Tutto parte da un’inchiesta della procura di Milano, titolari i pm Laura Pedio e Roberto Pellicano, su una società di Luigi Crespi, la Hdc-Datamedia. Una storia di fallimento e sospetta bancarotta fraudolenta per l’ex sondaggista. Inchiesta chiusa da poche settimane, carte depositate, una ventina di indagati, tra cui lo stesso Crespi, già arrestato nel 2005. Ma quell’indagine si estende in una ragnatela di intercettazioni che non riguardano gli indagati nel fascicolo milanese. Sono colloqui tra dirigenti Rai e Mediaset tra il 2004 e il 2005, finiti anch’essi nei faldoni.
Il quotidiano di Ezio Mauro li manda in stampa e titola: «La rete segreta del Cavaliere», ipotizzando un tandem, una gestione parallela dell’informazione, tra tv pubblica e tv privata. E un presunto accordo sui palinsesti in particolare nei giorni della morte di Giovanni Paolo II e delle elezioni regionali 2005. Il risultato è un’annunciata querela di Mediaset e il corto circuito in Rai, dove più d'uno parla di epurazioni e dimissioni dovute.
Questo a viale Mazzini. Ma anche alla Camera e al Senato si chiedono, da sinistra, punizioni subito per i giornalisti coinvolti. Il primo effetto politico della bomba-Repubblica è stata invece una fulminea accelerazione dell’ipotesi di discussione del disegno di legge Gentiloni sull’informazione radiotelevisiva e una brusca frenata nel cammino di concordia in vista delle riforme. «Una cosa è certa - ha commentato il ministro Gentiloni - affiora un clima collusivo che non mi pare edificante per il servizio pubblico e per la sua autonomia». Il servizio pubblico «ne esce sfigurato», si è indignato il presidente della Camera Fausto Bertinotti. È stato breve ma aspro nel commento il vicepemier Francesco Rutelli: «È una brutta storia, vedremo come andrà a finire». Mentre il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio si è fatto portavoce della richiesta di «un’inchiesta immediata del Parlamento».
Richiesta a cui si sono associati, oltre che dal suo partito, anche dal Pd: Roberto Giacchetti ha già presentato un’interrogazione urgente per sapere se i dirigenti intercettati sono ancora in Rai. Una lista nera. Si «puniscano i responsabili», chiede anche Roberto Cuillo (Pd). Provvedimenti esemplari vengono proposti allo stesso modo dai parlamentari a sinistra del Partito democratico, come Gloria Buffo: «È un Watergate». Torna poi in auge con prepotenza l’argomento del «conflitto d’interessi» di Berlusconi. Pierluigi Castagnetti (Margherita) propone una class action contro il «canone televisivo» a una Rai «di parte».
Ma c’è chi ridimensiona: «È scandaloso, ma non certo una sorpresa », secondo il capogruppo dell’Italia dei valori a Montecitorio Massimo Donadi: «Ora via alla nuova legge». Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, segnala preoccupata che «c’è il rischio» che il caso Rai-Mediaset blocchi il dialogo sulle riforme, che invece devono essere «a 360 gradi... ».
Ogni volta che «si tenta di fare le riforme - corregge Bondi - scattano, come un congegno a orologeria, indagini giudiziarie o rivelazioni scandalistiche». E parte, sottolinea l’opposizione, il giustizialismo «a singhiozzo».

Nessuno nell’Unione, in questo caso, ha parlato dell’utilizzo di intercettazioni di non indagati: «Il garantismo non può essere invocato a sinistra solo quando risultano coinvolti Fassino e D’Alema in vicende ben più gravi» (caso Unipol, ndr), afferma il capogruppo di Forza Italia al Senato Renato Schifani: «Se poi tutta l’operazione mediatica si avvia solo per accelerare l’iter di una legge che ha il preciso obbiettivo di distruggere le aziende del presidente Berlusconi, allora lo dicano chiaramente».

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