Roma - «Punto primo: non ho mai pensato di dimettermi. Punto secondo: Napolitano non me lo ha chiesto. Punto terzo: sono stufo di sentire che anche all’interno del mio partito c’è chi auspica un mio passo indietro». Sono passate le otto di sera quando Silvio Berlusconi lascia il Quirinale dopo un faccia a faccia di un’ora e venti minuti con il capo dello Stato. E dopo che per tutta la giornata si sono rincorse per i corridoi di Montecitorio voci su un possibile passo indietro del Cavaliere. Rumors alimentati anche da autorevoli dirigenti del Pdl e rilanciati pure da qualche ministro per poi rimbalzare da uno schieramento all’altro via sms. «Governo Letta in arrivo?», recita un «affidabile» messaggio ricevuto da un capogruppo dell’opposizione. Un tam tam che va avanti fino a sera perché - racconta il vociare del Transatlantico - a Palazzo Grazioli è stato visto Fedele Confalonieri, uno dei pochi che potrebbe convincere il premier a farsi da parte. E perché in serata è entrato improvvisamente in agenda un incontro sul Colle. Eppoi, la butta lì un ministro, Berlusconi ci aveva pensato su già venerdì scorso quando a Palazzo Chigi avevano preparato tutto per una conferenza stampa inizialmente programmata per mezzogiorno, poi rimandata alle cinque del pomeriggio e infine annullata. Il Cavaliere aveva intenzione di dire la qualunque su pm e media e mandare tutti a quel paese.
E invece no. Perché in verità a Palazzo Grazioli Confalonieri si appoggia da tempo quando è a Roma, quindi nulla di strano. E perché con Giorgio Napolitano l’incontro è incentrato sull’ economia, sulla nota di aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza) che sarà presentato oggi in Consiglio dei ministri e sulla nomina di Fabrizio Saccomanni a Bankitalia. Certo, si parla anche del voto sull’autorizzazione all’arresto di Marco Milanese in programma questa mattina e delle eventuali ripercussioni sul governo. Ma, come dirà più tardi nei suoi colloqui privati il Cavaliere, «Napolitano non mi ha certo chiesto di dimettersi». Un concetto che il ministro Giancarlo Galan traduce così: «Poco fa - ironizza - ho parlato con Berlusconi e mi ha detto di rassicurare gli italiani: Napolitano non si è dimesso». Come a dire che il premier una simile ipotesi non l’ha mai neanche presa in considerazione. Anzi, a quanto pare si sarebbe anche alquanto stufato di chi all’interno del Pdl continua a ventilare o auspicare un suo passo indietro. «Se davvero sono così convinti - dice provocatoriamente ai suoi collaboratori - allora ci mettano la faccia e mi sfiducino in Parlamento...». Avanti tutta, insomma. Tanto che la prossima settimana Berlusconi intende riprendere in mano le misure per lo sviluppo e pure la legge sulle intercettazioni. Non solo. «Stiamo lavorando - dice a un ministro - ad una nuova legge elettorale per ridare ai cittadini la possibilità di scegliere gli eletti».
Il punto, però, è superare indenni lo scoglio Milanese. Perché al di là delle dichiarazioni pubbliche - di Umberto Bossi che assicura non sarà «un voto contro il governo» e di Fabrizio Cicchitto convinto che oggi «non ci saranno franchi tiratori» - il livello di allerta è massimo. Quando si incontrano in mattinata a Palazzo Grazioli, infatti, Cavaliere e Senatùr concordano che trattandosi di voto segreto il passaggio è delicatissimo. Dall’opposizione potrebbero arrivare al massimo una decina di voti (da Pd e Udc), ma la maggioranza ne potrebbe perdere molti di più. Perché Milanese (e il suo referente di sempre, Giulio Tremonti) non sono mai stati troppo amati nel Pdl che peraltro è alle prese con diverse fronde interne. Per non parlare della Lega, dove si teme che la pattuglia di deputati fedele a Roberto Maroni possa non seguire la linea del Senatùr.
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