Assange spudorato: non violate la mia privacy

È la legge del taglione o, se preferite, quella del karma o forse, semplicemente, lo specchio di un’epoca che ha i suoi miti e i suoi eroi. Quello del momento si chiama Julian Assange, è un ex hacker australiano. Ha i capelli già bianchi, nonostante abbia appena 39 anni, e i suoi occhi sono spiritati. Si sente investito da una missione suprema: redimere l’umanità, pubblicando sul suo ormai celebre sito - Wikileaks - i segreti che funzionari ribelli sottraggono ai propri governi, soprattutto a quello americano.
Sostiene, Assange, che libertà sia sinonimo di trasparenza e che occorra pubblicare tutti i documenti riservati dei governi per svelarne l’ipocrisia, per mostrare ai cittadini il vero volto e le vere intenzioni di chi li rappresenta. E in questo modo innescare un nuovo rinascimento morale; anzi, una nuova Riforma, grazie a Internet, l’unico mezzo di comunicazione che il potere costituito non riesce a controllare.
Tutto in piazza, tutto aperto e che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Bello, bellissimo, emozionante. Assange come Lutero. E come ogni storia epica, la persecuzione non può mancare. Gli svedesi lo vogliono processare e per questo lo hanno fatto arrestare. Perseguitato, per di più. Tanti giovani credono ad Assange. Il reato, sebbene previsto dal codice penale svedese, appare pretestuoso. Accusa di stupro per aver fatto l’amore con due donne senza preservativo.
Tutto perfetto, logico, impeccabile. Però, guai se qualcuno mette in piazza i segreti di Assange. L’uomo non gradisce. E volano parole grosse, come ha appreso il Guardian, che la settimana scorsa aveva pubblicato i verbali degli inquirenti svedesi. Nulla di sorprendente: anche quando non esisteva Wikileaks i giornali di tutto il mondo, appena potevano, pubblicavano materiale giudiziario coperto, in teoria, da segreto istruttorio, tanto più se riguardava personaggi famosi.
Il Guardian ha smesso i panni del vecchio quotidiano cartaceo, indossando quelli, più moderni e seducenti, di Wikileaks. Ha pubblicato tutto, mettendo in conto la reazione irata delle autorità svedesi. E invede a infuriarsi, più ancora del governo di Stoccolma, è stato Assange.
Intervistato dal Times, ha dichiarato che la fuga di notizie è avvenuta «allo scopo di danneggiare la richiesta di libertà su cauzione» presentata durante l’udienza in appello svoltasi lo scorso 16 dicembre. Ha accusato il Guardian di aver pubblicato «selettivamente» i verbali, secondo modalità «disgustose». E chi avrebbe passato quei documenti segretissimi? Un cronista ben introdotto negli ambienti giudiziari svedesi? Macché, troppo semplice. «Sono state agenzie di intelligence», per mettere in crisi la sua linea di difesa.
Della serie: non fare a me quel che io faccio agli altri. Il moralista con il ditino alzato. Anzi, con il file alzato. Spiritato, implacabile, con gli altri. Con se stesso, mai. Non vede nemmeno dove sia il problema. Bisogna diffondere tutto, tranne i verbali che lo riguardano. E chi osa cedere a questa odiosa tentazione non è un giustiziere della verità, ma un manipolatore.
Se l’è presa anche con un giornalista dell’Abc, il quale ha osato porgli una domanda assai esplicita sulle modalità del presunto stupro.

Assange lo ha accusato di essere «un giornalista gossiparo» e se n’è andato. Evidentemente non gradisce le interviste aggressive; accetta solo quelle amiche, dunque innocue. Manco fosse uno di quei politici ipocriti e arroganti che non si stanca di denunciare.

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