Asse franco-tedesco più forte Ma Bruxelles fa le barricate

Asse franco-tedesco più forte Ma Bruxelles fa le barricate

L’asse franco-tedesco esce allo scoperto. Alla vigilia della riunione del Consiglio Ue, che dovrà decidere se convocare il prossimo 4 marzo un summit straordinario finalizzato al raggiungimento di un’intesa sul fondo salva-Stati, Angela Merkel, appoggiata da Nicolas Sarkozy, squaderna il «Patto per la competitività». Sei punti-chiave per la convergenza economica palesemente indigesti per Bruxelles, che teme venga messo in una posizione subalterna il meccanismo comunitario che privilegia le istituzioni europee rispetto agli Stati membri.
Il piano d’azione che Berlino e Parigi intendono presentare oggi nella capitale belga è tanto stringente nei tempi di attuazione delle misure proposte (un anno), quanto determinato nel chiedere sanzioni dure per chi non rispetterà gli impegni. In modo da cogliere tre obiettivi: la stabilità dei salari reali; l’equilibrio delle finanze pubbliche; lo sviluppo degli investimenti in ricerca e sviluppo, determinati in percentuale del Pil, da destinare alla formazione, alla scuola e all’innovazione. Di qui le sei direttrici lungo cui si sviluppa il Patto: 1) abolizione dei sistemi di indicizzazione dei salari (punto che non tocca l’Italia, che ha da anni abolito la scala mobile); 2) sviluppo della formazione per favorire la mobilità del lavoro; 3) armonizzazione dei sistemi di tassazione sulle società e sulle persone fisiche, in considerazione dell’attuale concorrenza fiscale eccessiva (si va dal 13% in Irlanda al 34,43% in Francia al 31% in Italia al 29,8% in Germania; 4) collegamento delle prestazioni previdenziali al reale andamento demografico, innalzando ove necessario l’età pensionabile; 5) introduzione nelle Costituzioni nazionali di un limite al deficit per frenare l’indebitamento; 6) creazione di un regime nazionale per la risoluzione delle crisi bancarie.
Si tratta di un disegno assai ambizioso, che inevitabilmente finisce per spostare a livello intergovernativo il peso delle decisioni oggi di stretta competenza comunitaria. L’aspetto politico è reso ancor più evidente dal fatto che Germania e Francia intendono assegnare un ruolo più cruciale ai capi di Stato e di governo, chiamati a riunirsi una volta l’anno. Non a caso, la reazione della Commissione Ue è stata di insolita durezza. «Noi non abbiamo ricevuto proposte e non abbiamo visto ancora niente», ha affermato il portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn. «Non vogliamo ventisette Germanie - ha aggiunto - , ma più coordinamento tra i Paesi europei: non è necessario reinventarsi la ruota». Gli ha fatto eco Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo: «Non è che uno fa una cosa e gli altri lo devono seguire. No. Prima se ne discute insieme e poi si cerca di coordinarsi».
Il clima non è insomma dei migliori per affrontare oggi un tema delicato come quello del rafforzamento del fondo salva-Stati, che Berlino potrebbe voler negoziare in cambio di un più vigile controllo sulle politiche di bilancio e sui livelli di indebitamento. Mentre l’Europa discute, il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha ieri smussato lievemente i toni anti-inflazione dopo aver lasciato i tassi invariati all’1%.

Secondo Trichet, l’accelerazione che ha portato i prezzi in gennaio al 2,4% (2,2% un mese prima) «riflette in gran parte il rialzo dei prezzi energetici» (il petrolio è schizzato ieri a 103 dollari) ed era «ampiamente anticipata».

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