Flavia Carrara
Talvolta l'università tende a produrre un sapere che somiglia sempre più a una commodity; il ruolo di leader culturale è stato accantonato volutamente. È curioso come ogniqualvolta si affronti il tema dell'università si parli di competitività, della capacità di fare sistema tra università stesse, dell'eterno dilemma se debbano essere le università al traino delle imprese o viceversa le imprese al traino delle prime, di quanto il sistema di finanziamento pubblico e la mancanza di autonomia ostacolino la flessibilità dei singoli Atenei e di quanto la riforma abbia reso più o meno efficiente il sistema.
E come si tralasci invece la questione ben più drammatica di come non sia più per nulla scontato che l'università assolva alla funzione originaria di farsi motore di cultura, di rinascita, di sviluppo nei confronti del resto della collettività, imprese, pubblica amministrazione e cittadini. Qualcuno però, anche se in modo molto timido, ne sta acquisendo consapevolezza.
Se la leadership culturale delle università nella società è fortemente in discussione, lo è indipendentemente dai problemi di natura strutturale che ne affliggono il sistema e dipende da una precisa volontà di rettorati e consigli di facoltà che troppo spesso antepongono in agenda servizi, accoglienza e «information technology» alla definizione strategica di quale contributo dare al Paese in termini di cultura e di intellettualità e alle persone da scegliere per attuarla. Troppo spesso i contenuti, il sapere è considerato commodity, patrimonio già acquisito e come tale gestibile, uniformabile o scomponibile, ispirato al conformismo, come se anche nel caso della cultura si realizzassero economie di scala uniformando, accorpando, gestendo ed economizzando sui contenuti della didattica. Anche Severino Salvemini ne fa un accenno quando afferma «pensiamo che le università siano luoghi di produzione intellettuale... alle spalle hanno però strutture fortemente burocratiche». Con queste premesse fare sistema può servire solo a economizzare su ciò che è già stato economizzato dai singoli promuovendo una contaminazione tutt'altro che virtuosa sia tra università che tra queste ultime e il resto della collettività.
Un ruolo chiave potrebbero giocarlo proprio le pubbliche amministrazioni, le quali, un tempo «employers» poco graditi ai laureati, sono oggi, come fa notare il vicesindaco Riccardo De Corato, tra i candidati più accreditati a dare un impulso alla cultura economica, visto l'impegno crescente dimostrato soprattutto da alcune città ed aree territoriali.
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