Grazie agli uomini che volano. Ci hanno fatto divertire. Ed hanno completato l’opera dell’Italia degli impensabili. Nonostante il botto a vuoto di Andrew Howe. La staffetta 4x100 è stata splendida, perfetta, emozionante. Il nostro folletto saltatore ci ha tentato fino all’ultimo, si è arenato sull’8,12 (al secondo salto) che, per qualche tempo, gli ha garantito la medaglia di bronzo del lungo, ma poi si è arreso alla forza degli altri e alla debolezza sua: troppo tempo lontano dalle grandi gare, troppe sofferenze per rinforzare il piede di stacco dopo l’operazione al tendine d’Achille. Poi ci si è messo Chistian Reif, formidabile tedescone ribattezzato «FlyChris» che ha messo le ali per imbroccare un salto che vale il tetto del mondo stagnale: 8,47. Un salto da otto metri e mezzo che vale una corona.
Howe non sarà soddisfatto («Stavo mentalmente al 100%, ma fisicamente al 50%»), il quinto posto può essere solo una pezzuola, consolazione per un ragazzo che l’anno passato non sapeva se avrebbe continuato a saltare, ma lascia la corona di quattro anni fa in mani e piedi solidi. L’argento alla staffetta 4x100 maschile, con tanto di record d’Italia, fa rispolverare libri e ricordi. Stefano Tilli avrà sentito il groppo in gola: addio al primato firmato ai mondiali di Helsinki 1983, quando correva con Simionato, Pavoni e Mennea. Quartetto che si snocciola facile, come ora dovremo imparare a memoria quest’altro: Donati, Collio, Di Gregorio, Checcucci. Portano in dote una medaglia europea (la seconda per la staffetta veloce dopo quella del 1974) e cancellano il 38”37 dei quattro che parevano immortali. Oggi il record nostro si legge 38”17. Ottenuto nel giocarsi il tutto per tutto con la Francia che, certamente, non fa pari con quella squadra americana che tenne dietro il quartetto del 1983: Carl Lewis, Calvin Smith, Emmit King e Willie Gault. I primi due si sarebbero ingoiati da soli tutti i francesi.
L’Italia chiude l’europeo nel segno degli impensabili. Troppe volte la staffetta aveva fallito l’appuntamento, stavolta ha preso il buon esempio dall’argento di Vizzoni nel martello, di Simona Lamantia nel triplo e di Anna Incerti nella maratona. Quando hanno smesso di litigare, gli staffettisti sono diventati squadra. E ieri l’ha detta bene Maurizio Checcucci, il vecchietto (36 anni) tutto sprint. «Abbiamo vinto noi, cioè l’Italia. Siamo gruppo e non singoli». Non più singoli, come per anni lo sono stati. L’effetto rissa è stata la costante dominante delle nostre staffette. È storia di grandi velocisti, grandi nomi, grandi sprint e grandi musi lunghi. Questi ci hanno messo sorriso e gambe. Maurizio Checcucci non aveva tempo da perdere e lo ha dimostrato nell’ultima frazione quando ha messo da parte i 36 anni che ti fan dire «il vecchietto dove lo metto» ed ha spiegato che l’ultima frazione era pane suo, nonostante abbia subito la rimonta di Martial Mbandjock, il fustone francese che ha condotto la Francia all’oro, dopo aver conquistato due bronzi personali nei 100 e 200. La Francia aveva l’uomo della «triplete», Christophe Lemaitre si impossessa della corona del Bolt d’Europa con aggiunta di pelle bianca: tre titoli per renderlo re incontrastato del vecchio continente, mai capitato a nessuno.
Il nostro quartetto ha messo sotto scacco i francesoni: Collio ha tenuto a bada Lemaitre, Di Gregorio ha corso una curva da one man show, un siluro. Robero Donati ha avviato il motore del quartetto badando a non commettere errori. Checcucci ha fatto strabuzzare gli occhi a chi crede che i 36 anni siano un freno davanti a un ragazzone nero di 24 anni. Staffetta di trentenni e neppure di gran calibro nelle gare singole. «Ma insieme abbiamo fatto la differenza».
Il vecchietto avrebbe sempre perso contro Mbandjock in una gara singola, ma l’effetto gruppo lo ha lanciato verso una conquista che, per qualche attimo, ha fatto brillare gli occhi di tutti, nel senso che l’oro si è dissolto solo negli ultimi trenta metri. In quel momento ha volato solo la fantasia. Che non sempre vince.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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