In attesa di Rubiatron e fusione fredda ci girano le pale...

La invito ad approfondire un argomento che nella risposta a una lettrice ha appena sfiorato: la fusione fredda. Lei ha affermato che occorrerà aspettare ancora due o tre generazioni prima che essa possa essere un’alternativa possibile. Vorrei, invece, che ne parlasse con più ottimismo in quanto nel gennaio scorso, all’università di Bologna, davanti a fisici ed esperti vari del settore, c’è stata un’interessante dimostrazione proprio della fusione fredda. Ora pare che coloro che hanno costruito tale macchina (due fisici italiani), siano emigrati in Grecia a completare gli studi di fattibilità del loro ritrovato già a un buon punto di sperimentazione. Ora vorrei che anche lei parlasse di questa fusione fredda perché, fin dalla sua scoperta è sempre stata negletta, lasciata in disparte e anzi, oserei dire, boicottata. Perché non si investono in ricerca capitali che permetterebbero di arrivare presto alla soluzione che probabilmente è più vicina di quanto si possa credere?
Trigolo (Cremona)

Leggo di Rubbia che sostiene le centrali al torio, più sicure e convenienti. Va bene che lo hanno dato anche al comico Dario Fo, ma un Nobel una certa credibilità la dovrebbe pur avere. Ma allora perché nessun altro (oltre a qualche norvegese) propone questo tipo di centrali e nessuno le costruisce? E, comunque, col proporre il torio in sostituzione dell’uranio, Rubbia lascia capire che solare ed eolico non basterebbero. O non è così? Insomma: dateci... più luce, per favore!
Vittorio Vida
Pordenone

La fusione fredda e le centrali al torio sono i pifferi di complemento degli antinuclearisti, cari Camozzi e Vida. Starebbero a dimostrare che il nucleare non solo è demoniaco, ma anche inutile, tanto di qui a qualche anno il torio o la fusione fredda ne rappresenteranno la versione angelica. Cominciamo col torio. È il meno amato dai «no nuke» e il meno concorrenziale al nucleare. Perché sempre di materiale radioattivo si parla e poco conta che le sue scorie si esauriscano in «soli» due secoli invece dei sette-otto dell’uranio. Gli unici vantaggi che presenta sono la più ampia reperibilità della materia prima e l’impossibilità di farne un uso militare. Niente bombe al torio, insomma (questo ovviamente non significa che venga meno la produzione di quelle nucleari). E ora la fusione fredda, «inventata» nel 1989 da due chimici americani, Staney Pons e Martin Fleishmann che annunciarono di averla realizzata in una provetta e a temperatura ambiente. Purtroppo, però, quel sorprendente risultato non poté essere riprodotto in alcun laboratorio. E un procedimento si dice scientifico se, appunto, può essere riprodotto. Seguirono altri studi (l’Enea stanziò 600mila euri per la ricerca), si trovarono altre teoriche soluzioni, come il «catalizzatore di energia» al quale lei credo si riferisca, caro Vida, ma a tutt’oggi siamo alla fase sperimentale, di laboratorio, e nulla lascia sperare che la «fusione fredda» possa in un ragionevole lasso di tempo essere adottata per alimentare centrali elettriche. Esattamente come per il Rubiatron al torio. I più ottimisti parlano di 30-40 anni. Vedremo. Per passare a cose più semplici, anche un quadrato di 200 chilometri per 200 di pannelli fotovoltaici piazzati nel Sahara - il Desertec - potrebbe in teoria, come ricorda il professor Carlo Rubbia, produrre l’energia necessaria a mezzo pianeta.

Peccato che ancora non si sia trovato il modo di distribuirla a così grandi distanze senza che se ne disperda la più parte. In futuro certamente lo si troverà, quel modo. Ma nell’attesa del Rubiatron, della fusione fredda e del Desertec come tireremo avanti, cari Camozzi e Vida? A forza di pale eoliche?
Paolo Granzotto

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