Ore di apprensione sull’Himalaya per Simone Moro, uno dei più grandi alpinisti della storia contemporanea. Il 58enne bergamasco è stato ricoverato a Kathmandu, in Nepal, dopo aver accusato un improvviso malessere mentre si trovava in quota. Le sue condizioni, secondo quanto comunicato dallo staff, non destano particolare preoccupazione: “Sta meglio ed è di buon umore”, hanno fatto sapere attraverso i social, rassicurando familiari e appassionati dopo la diffusione della notizia.
Una leggenda vivente dell’alpinismo mondiale
Nato a Bergamo nel 1967, Simone Moro è considerato una vera e propria icona dell’alpinismo internazionale. Il suo nome è legato soprattutto alle ascensioni invernali sugli Ottomila, una disciplina estrema che pochi hanno osato affrontare e ancora meno sono riusciti a dominare. Moro è l’unico al mondo ad aver realizzato quattro prime salite invernali assolute su montagne oltre gli 8.000 metri: Shisha Pangma (2005), Makalu (2009), Gasherbrum II (2011) e Nanga Parbat (2016).
Nel corso della sua carriera ha raggiunto la vetta di otto dei quattordici Ottomila esistenti e ha partecipato a oltre settanta spedizioni sulle montagne più alte e pericolose del pianeta. Un percorso costruito con uno stile essenziale, veloce e spesso solitario, che lo ha reso un punto di riferimento per l’alpinismo moderno.
Dalle Alpi all’Himalaya, una vita verticale
L’avventura di Simone Moro inizia giovanissimo sulle Alpi Orobie e sulle Dolomiti, passando poi all’arrampicata sportiva di alto livello. Dal 1992 l’Himalaya diventa il centro della sua vita e delle sue ambizioni, un territorio in cui Moro ha spinto sempre più in là i limiti dell’esplorazione invernale. Le sue imprese sono spesso caratterizzate da condizioni estreme, freddo intenso, venti violenti, isolamento totale.
Everest, salvataggi e drammi sfiorati
Nel suo curriculum figurano anche quattro ascensioni dell’Everest e numerosi tentativi su nuove vie e concatenamenti ad alta difficoltà. Accanto alle imprese sportive, Moro è noto per alcuni salvataggi leggendari. Nel 2001, sul Lhotse, riuscì a soccorrere in solitaria un alpinista inglese gravemente ferito a oltre 8.000 metri di quota. Per quell’intervento gli venne conferita la medaglia d’oro al valor civile.
La sua carriera è però segnata anche da momenti drammatici. Nel 2011, durante la discesa dal Gasherbrum II, una valanga costò la vita al compagno Gerfried Göschl e allo sherpa Nawang Sherpa. Nel gennaio 2020, sempre sul Gasherbrum, Moro e Tamara Lunger rimasero coinvolti in una caduta in crepaccio, riuscendo a salvarsi ma dovendo rinunciare alla spedizione. Episodi che l’alpinista ha raccontato senza retorica, parlando spesso di quanto sottile sia il confine tra vita e morte in alta quota.
La seconda vita da pilota di elicottero
Accanto all’alpinismo, Simone Moro ha costruito una seconda carriera altrettanto straordinaria. Dal 2009 è pilota di elicottero specializzato nel soccorso alpino ad alta quota. È stato il primo europeo a operare stabilmente con elicotteri sull’Himalaya, stabilendo numerosi record mondiali di quota e partecipando a recuperi considerati tra i più estremi mai realizzati.
Un uomo che continua a sfidare i limiti
Il malore che lo ha colpito oggi rappresenta un nuovo ostacolo lungo una vita trascorsa ai limiti
dell’umano. Ma con un carattere come il suo, fatto di disciplina, determinazione e profondo rispetto per la montagna, l’ennesima prova potrebbe trasformarsi in una pausa di riflessione prima di nuove sfide.