Prima dell'eutanasia, la denuncia all'Asl

Martina aveva visto negata 3 volte la sua domanda di accesso al suicidio assistito

Prima dell'eutanasia, la denuncia all'Asl
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Prima di smettere di soffrire facendo ricorso al suicidio assistito in Svizzera, dopo aver lottato fino all'ultimo perché l'Italia vari al più presto una legge «sensata» sul fine vita, la triestina Martina Oppelli - che lottava contro una sclerosi multipla secondaria progressiva da più di vent'anni - aveva denunciato l'azienda sanitaria della sua città per tortura e rifiuto d'atti di ufficio per averle negato tre volte l'accesso al suicidio medicalmente assistito. Così come previsto dalla Consulta dopo il caso Cappato purché ricorrano quattro condizioni, una delle quali - la presenza di un trattamento di sostegno vitale - non era stata riconosciuta dall'Asugi, l'azienda sanitaria triestina.

Tre no che hanno prolungato la sua sofferenza, divenuta ormai intollerabile, tanto da convincerla ad andare a morire «dignitosamente»

fuori dal nostro Paese, assistita dall'associazione Luca Coscioni. Era diventato impossibile per lei attendere ancora per una risposta. Nell'esposto la 50enne denuncia di essere stata vittima di un trattamento inumano e degradante da parte delle istituzioni che hanno ignorato le sue sofferenze, costringendola a vivere per anni in una condizione di dolore estremo, aggravata dal rifiuto reiterato e immotivato dell'Asugi di riconoscerle l'accesso legale alla morte assistita. L'azienda sanitaria le aveva in passato negato la rivalutazione delle sue condizioni di salute, sostenendo che un nuovo esame sarebbe stato un costo inutile per la pubblica amministrazione. La donna aveva presentato un ricorso d'urgenza nel 2024 presso il Tribunale di Trieste, che aveva ordinato all'azienda sanitaria nuove verifiche. Per oltre due anni, inoltre, non le è stato riconosciuto il requisito della «dipendenza da trattamento di sostegno vitale», nonostante dipendesse totalmente non solo dai suoi caregiver per sopravvivere ma anche dalla macchina della tosse e nelle ultime settimane dal catetere vescicale. In questo modo sarebbe stata disapplicato il giudicato costituzionale. È l'associazione Coscioni ora a portare avanti la

sua battaglia: «L'azienda sanitaria non solo le ha negato un diritto, ma l'ha fatta soffrire inutilmente, causandole danni fisici e psicologici che per legge si configurano come una vera e propria forma di tortura». «Seguendo le volontà di Martina - spiega Marco Cappato - abbiamo agito pubblicamente assumendoci le responsabilità per l'aiuto a lei fornito.

Questa volta, però, non siano andati dalle forze dell'ordine per autodenunciarci, perché la denuncia c'è già, ed è la denuncia di Martina contro uno Stato che l'ha costretta a subire una vera e propria tortura, contro un Servizio sanitario di Regione Friuli Venezia Giulia che non ha fatto il proprio dovere. Siamo comunque a disposizione di eventuali indagini. Proseguiremo con le azioni di disobbedienza civile e per chiedere la calendarizzazione della legge di iniziativa popolare per l'Eutanasia legale».

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