
La denatalità non è il risultato di un calo del desiderio di diventare genitori, ma piuttosto l’effetto di una rete complessa di condizioni economiche, sociali e culturali che vanno oltre le scelte personali. È quanto rivela il nuovo rapporto “Avere un figlio oggi”, pubblicato da Area Studi Legacoop in collaborazione con Ipsos. Il documento si basa su un’indagine condotta su un campione rappresentativo della popolazione italiana e analizza le percezioni e gli ostacoli legati alla genitorialità nel nostro Paese.
L'indagine di Area Studi Legacoop
L'ultimo aggiornamento dell’indagine condotta da Area Studi Legacoop con Ipsos, che riprende una rilevazione svolta due anni fa, mette in luce un cambiamento significativo nelle aspirazioni familiari dei giovani italiani. Oltre un terzo degli under 35 continua a desiderare due figli, ma cresce la quota di chi si accontenterebbe di uno solo (24%, in aumento di 9 punti) o di chi esclude del tutto la possibilità di diventare genitore (25%).
Parallelamente, cambia anche l’approccio emotivo alla genitorialità: se la gioia rimane l’emozione più diffusa (50%), registra però un calo marcato (-9 punti percentuali). Aumentano invece i sentimenti di preoccupazione (31%, +4 punti) e di ansia (23%, +3), soprattutto tra i ceti popolari e i più giovani: tra gli under 30, il 38% si dice preoccupato e il 30% prova ansia all’idea di avere figli.
Le parole del presidente Legacoop
"La notizia è che non è tanto o solo la mancanza di desiderio a contribuire alla denatalità, ma un contesto economico e sociale che rende difficile, se non impossibile, trasformare quel desiderio in una scelta concreta”, afferma Simone Gamberini, presidente di Legacoop. “Le persone -aggiunge- si trovano costrette a scegliere tra lavoro e genitorialità, in un sistema che non offre né certezze economiche né servizi adeguati. È inaccettabile che l’81% delle donne tema di dover abbandonare il lavoro per avere un figlio.
È il segno di un divario di genere ancora profondo, che si traduce in una perdita non solo di equità, ma anche di crescita e coesione sociale. Il nostro Paese ha urgente bisogno di un patto economico e sociale che metta al centro il lavoro dignitoso, il sostegno alla genitorialità e la parità di genere. La cooperazione promuove modelli organizzativi più inclusivi, servizi di welfare aziendale e azioni concrete per una piena conciliazione vita-lavoro. La natalità non è solo una questione privata, ma una responsabilità collettiva di fronte agli andamenti demografici ben noti. Se una percentuale tanto grande di donne teme di perdere il lavoro per un figlio, il problema è del Paese, non delle madri. Investire nei giovani, nelle famiglie e nelle donne significa investire nel futuro dell’Italia."
L'incertezza economica
Il report approfondisce le cause principali che portano molti a rinunciare alla genitorialità, con un focus sui fattori economici. In cima alle preoccupazioni si trovano i salari insufficienti e il crescente costo della vita (segnalati dal 91% degli intervistati), seguiti dalla precarietà lavorativa e da modalità di lavoro difficili da conciliare con la vita familiare (89%).
Altri ostacoli rilevanti includono le difficoltà nel bilanciare lavoro e famiglia (88%), l’impossibilità di accedere a un’abitazione dignitosa a costi sostenibili (85%), la carenza di sostegni economici statali (84%) e l’insufficienza degli aiuti pubblici per coprire le spese legate alla crescita dei figli (83%). Anche la paura di perdere il lavoro e i costi dell’istruzione (80%) contribuiscono al quadro. A esprimere maggiore sfiducia sono soprattutto i giovani e le fasce socioeconomiche medio-basse, che percepiscono un sistema incapace di offrire stabilità e reali prospettive per il futuro.
Il fronte sociale
Dal punto di vista sociale, tra i principali ostacoli alla scelta di avere figli emerge la difficoltà nel bilanciare impegni lavorativi e vita familiare, indicata dall’87% degli intervistati e in crescita tra gli under 30 (91%). A pesare anche la carenza di servizi a sostegno della genitorialità, come asili nido e scuole a tempo pieno (83%), l’assenza di politiche aziendali realmente orientate alle famiglie (80%) e il venir meno del modello familiare tradizionale, in cui i nonni contribuivano attivamente alla cura dei bambini (72%).
I motivi culturali e di costume
Il report evidenzia anche l’impatto di motivazioni culturali e legate al costume sociale nella scelta di non avere figli. In testa, il desiderio di mantenere una maggiore libertà personale (74%), seguito dall’esigenza di dedicarsi alla propria realizzazione individuale (72%) e dalla paura di perdere leggerezza e autonomia a causa dei vincoli legati alla genitorialità (71%). A influire sono anche l’aumento dell’individualismo e una minore propensione al sacrificio (69%).
I fattori psicologici
Sul piano psicologico, il report mette in luce una serie di ostacoli che incidono sulla decisione di non avere figli. Tra i più citati c’è la paura di affrontare le responsabilità genitoriali (73%, che sale all’80% tra i ceti popolari), seguita dal desiderio di preservare il proprio stile di vita attuale e dalla difficoltà a trovare un partner considerato “adatto” (entrambi al 73%). Contano anche la percezione di non essere pronti dal punto di vista emotivo e l’instabilità che caratterizza molte relazioni sentimentali contemporanee (71%).
Il ruolo sociale dei figli
Pur riconoscendo in larga maggioranza (74%) che la genitorialità rappresenta una responsabilità sociale, molti intervistati esprimono convinzioni diverse sul piano individuale. Il 70% – percentuale che sale al 74% tra gli under 30 – ritiene infatti che la realizzazione personale non dipenda dall’avere figli. Inoltre, una quota significativa (69%) considera il mondo attuale troppo incerto per pensare di mettere al mondo dei figli, con un picco del 75% proprio tra i più giovani.
L'impatto di un figlio sul lavoro
Il report evidenzia anche come l’arrivo di un figlio incida in modo diverso sul percorso professionale di uomini e donne. È soprattutto il genere femminile a percepire la maternità come un punto di svolta, spesso segnato da rinunce: l’81% delle donne segnala l’abbandono del lavoro come possibile conseguenza, mentre l’80% riporta una riduzione dell’orario o il mancato accesso a opportunità di carriera.
Tuttavia, rispetto a due anni fa, si registra un miglioramento nella percezione della conciliazione tra vita lavorativa e familiare (64%, in calo di 9 punti), così come
nella necessità di cambiare lavoro (60%, anche questo dato in calo di 9 punti). In parallelo, cresce la consapevolezza che, in molti casi, siano gli uomini a cambiare lavoro per garantire maggiori entrate al nucleo familiare.