Il nero va su tutto

Netflix sta producendo un'altra serie tv che ricolora la Storia, in cui re Gustavo III di Svezia, siamo nel '700, è interpretato da un ottimo attore di origini libanesi

Il nero va su tutto
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Domande. Quando i giornali nei titoli di cronaca nera fanno sparire i neri, omettendo l'etnia del colpevole, è una stucchevole autocensura per non apparire razzisti o una forma di rispetto per «l'altro» ed evitare di criminalizzare alcune popolazioni? E quando al contrario nei titoli sportivi compaiono solo i nomi delle atlete di colore, come è accaduto per le vittorie delle pallavoliste italiane, è un modo per celebrare la riuscita integrazione di una «immigrata» di successo o una subdola discriminazione delle compagne di squadra bianche? E ancora. Quando la candidata di colore (scusate l'ossimoro: «candidato» deriva da «candidus», bianco), alle regionali in Toscana, invita a «smantellare la bianchezza» in quanto «è una struttura di potere che produce esclusioni» (di fatto una pulizia etnica), siamo di fronte a una giusta richiesta di risarcimento dopo secoli di diritti negati oppure a un atto stesso di razzismo verso le persone non di colore, quelle che magari oggi esultano per la «bianchezza italiana» della nuova Miss Italia?

Forse non c'entra niente, ma ce lo chiediamo mentre veniamo a sapere che Netflix sta producendo un'altra serie tv che ricolora la Storia, in cui re Gustavo III

di Svezia, siamo nel '700, è interpretato da un ottimo attore di origini libanesi. Di colore.

Strano. Non c'è niente che evidenzi inutilmente le diversità quanto cercare ogni volta di rimarcare stupidamente l'uguaglianza.

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