Autunno, tempo di barattoli: confetture, marmellate e...

Lo chef emergente dell’«Altro Mastai»: «Nei prossimi mesi mi divertirò con la trippa, i prodotti del Sud e i risotti»

I nostri lettori lo conoscono per le ricette che settimanalmente propone su queste pagine. Fabio Baldassarre a nemmeno 34 anni è uno degli chef emergenti della Capitale. Di origine abruzzese, proprio in questi giorni festeggia il secondo anniversario del suo «L’Altro Mastai» in via Giraud, a due passi da corso Vittorio. Una ricorrenza che festeggia con una nuova e tecnologica cucina, con la speranza di qualche soddisfazione nelle guide in uscita (argomento che però la scaramanzia impedisce di affrontare) e con questa chiacchierata.
Baldassarre, qual è il bilancio di questi due anni all’Altro Mastai»?
«Le cose cominciano ad andare bene. Ho molti clienti romani affezionati e professionisti che vengono a mangiare e a parlare di affari. Una tipologia di cliente che a Roma è poco presente, ciò che differenzia la nostra città da Parigi, Londra e anche da Milano».
Come è cambiata la tua cucina in questi due anni?
«È cambiata senza che me ne accorgessi, un processo in fondo naturale legato all’esperienza. Io amo sperimentare: ogni giorno in cucina proviamo».
E quanti di questi esperimenti finiscono in menu?
«Forse uno su cento».
Come nasce un nuovo piatto?
«Io seguo tre filoni: la rielaborazione della tradizione, la creazione che parte dal prodotto e l’intuizione pura, che è poi quella che preferisco».
Che cosa ha in programma per l’autunno?
«Nei prossimi mesi mi vorrei divertire con i risotti e con alcuni prodotti del Sud che scovo personalmente, come certi caciocavalli lucani e le pernici che alleva mia madre in Abruzzo. E poi sto studiando altri menu degustazione oltre a quello principale, che ormai è scelto dall’80 per cento dei clienti: da ottobre vorrei proporre dei menu legati al prodotto o al mercato».
Quanto c’è di cucina romana nella sua?
«Io prendo da tutta Italia, e certamente anche da Roma. Di recente ho riscoperto la trippa, che propongo in una modo poco tradizionale che secondo me dà molte emozioni.

Ma non bisogna eccedere nella volontà di fare a tutti i costi qualcosa di romano, l’importante è che ogni contributo, dovunque venga, arricchisca la mia cucina e corrisponda alle mie idee».
La gioia più grande?
«Il terminale del mio lavoro è il cliente, che viene da me per stare bene, non avere pensieri e uscire soddisfatto. E io voglio che sia così».

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