"Avevo un pastificio, ora sono diventato un mendicante di lavoro"

Le minacce anonime: "Prepara 30 milioni" o sarebbe finito arrosto anche lui

"Avevo un pastificio, ora sono diventato un mendicante di lavoro"

Bisignano (Cosenza). Giuseppe La Riccia, 57 anni, aveva da sempre le mani in pasta. Pasta fresca. Prima una bottega in cui lavorava con la moglie, poi dal 1998 una piccola azienda per mettere più a frutto l'esperienza maturata. Il racket gli ha messo gli occhi addosso subito: «Si sono fatti vivi appena posata la prima pietra, nella zona industriale di Bisignano», racconta. L'avevano già fatto con molte altre aziende. È il controllo del territorio. Il furgone rubato e incendiato. Le minacce anonime: «Prepara 30 milioni» o sarebbe finito arrosto anche lui. Rapaci senza volto, La Riccia non li ha mai potuti identificare.

Al pastaio il coraggio non manca e corre dai carabinieri a denunciare mentre cerca di tirare avanti. In cinque anni la produzione va a regime con 15 dipendenti, un prodotto di qualità e clienti anche fuori dai confini italiani: Francia, Olanda, Germania. Ma i capi mandamento non mollano. Un altro furgone incendiato, quattro auto rubate e distrutte, un ordigno esplosivo all'ingresso del capannone, continue richieste di denaro. «Non ho mai aderito, non ho pagato», dice l'imprenditore. Ma così facendo ha condannato la sua attività. Nel 2007 La Riccia chiude la fabbrica di pasta di Bisignano e la trasferisce in Germania, perdendo tutti i soldi investiti fino a quel momento. Ma la Germania non è l'Italia e nel 2010 deve chiudere anche lì.

L'artigiano riprende la sua piccola attività da «mendicante del lavoro», come si definisce. Cerca una sponda nello Stato che non è stato capace di strappare la maschera ai suoi taglieggiatori senza nome. E qui fa la scoperta più drammatica. C'è una legge che potrebbe tutelarlo, un fondo di solidarietà per le vittime di usura ed estorsione. Ma per lui le porte del fondo sono sbarrate: non ha sborsato un euro, dunque non ha diritto a essere risarcito. Minacce, attentati, denunce non sono sufficienti a qualificarlo come testimone di giustizia in base alla legge. Avrebbe dovuto piegarsi. Cedere agli abboccamenti, pagare, mettersi dalla parte dei delinquenti. E poi aspettare che la giustizia facesse il suo corso, sempre che ne fosse capace.

Tre volte ha presentato domanda e altrettante è stato respinto. «Per diventare testimone di giustizia e quindi essere tutelato e risarcito, oltre ad aver denunciato gli atti intimidatori ed eventuali lesioni personali, si deve aver procurato l'incriminazione o l'arresto di qualche malfattore». Ma lui non sa chi siano, ha visto soltanto gli effetti delle loro azioni. «Ho più volte espresso il mio disagio allo Stato e alla politica, invano.

Ho esposto infruttuosamente in Commissione antimafia il mio caso. Se non hai dato una contropartita allo Stato facendo arrestare qualcuno; se non sei stato ferito da pallottole, bombe e coltellate; se non ti sei procurato targhe ed encomi, non hai diritti».

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