Transizione energetica

"Offrire alle famiglie reali benefici energetici": come edilizia e Pnrr possono guidare la transizione

Manuel Castoldi, presidente di Rete Irene, parla della sfida del rinnovamento energetico profondo degli edifici come via per lo sviluppo della transizione

"Offrire alle famiglie reali benefici energetici": come edilizia e Pnrr possono guidare la transizione

Portare benefici reali alle famiglie con la ristrutturazione degli edifici. Ecco la sfida di Rete Irene, rete di imprese che contribuisce al tema della riqualificazione energetica proponendo un approccio completo e a tutto campo per il rinnovamento del patrimonio residenziale italiano. Con il suo presidente, Manuel Castoldi, parliamo delle sfide per rendere le politiche abitative e di riqualificazione europea un'opportunità e non solo una sfida.

Da molto tempo ormai e in particolare negli ultimi mesi si è molto parlato della sfida di edilizia e della transizione energetica nel Pnrr. Come vedete la crescita di consapevolezza sull’importanza di questi temi?

Entriamo subito nel merito: transizione energetica è il tema chiave, non una generica transizione ecologica di cui tanti si riempiono la bocca. La nostra missione è promuovere la transizione energetica partendo dal settore immobiliare, e come rete d’imprese lo facciamo da un decennio, da molto prima che si parlasse di bonus come il 110% o di gestione dei crediti sociali. Abbiamo voluto promuovere un messaggio culturale nell'incentivare l’intervento congiunto su involucro e interno. Da sempre lavoriamo su formazione e informazione per creare consapevolezza su questi temi tra famiglie e professionisti. Il nostro obiettivo è stato passare dalla manutenzione straordinaria degli immobili all’efficienza energetica come frutto degli interventi. E ora siamo ancora più ambiziosi…

Che obiettivo vi ponete?

Ora parliamo di rinnovamento energetico degli edifici come pay-off finale delle nostre azioni. Stiamo cercando di andare verso interventi capaci di offrire alle famiglie reali benefici energetici, in modo molto concreto: bisogna ottimizzare i costi che una famiglia sostiene, promuovere l’autonomia energetica, facilitare scelte utili alla collettività. I nostri interventi mirano ad ottenere le migliori prestazioni energetiche dall’edificio riqualificato, valutando nel complesso le tecnologie più innovative e la digitalizzazione più calzanti con l’edificio esistente.

Come si coniuga questa proposta con la direttiva europea sulle case green, criticata dal governo italiano?

Mi rendo conto che molti possano vederla come una patrimoniale ed è comprensibile. L’autonomia energetica delle famiglie e dei Paesi, indipendentemente da questa direttiva, è però fondamentale. Servono misure per soddisfare efficacemente i bisogni energetici primari.

Come rendere la sfida della direttiva volano di sviluppo?

Serve governarla. La domanda è stimolante per il fatto che impone di progettare come gestire una sfida che, a Bruxelles, si preparava da almeno dieci anni. La direttiva ha evidenziato l’assenza di una programmazione da parte di ogni governo, indipendentemente dal colore politico. Dal nostro punto di vista la direttiva è molto restrittiva sul fronte della temporalità. A prescindere da ogni deroga, quando sarà recepita in Italia potrà riguardare metà del patrimonio nazionale e non meno del 45%. Pensare di mettere a posto questi fabbricati in dieci anni non è certamente semplice. Dovessi prendere in mano una negoziazione con la Commissione Ue non discuterei i termini della direttiva, quanto piuttosto delle scadenze per ottimizzare le classi energetiche G, F e E. Di contro però offrirei un piano molto più ambizioso. Non serve portare alla classe D questi immobili, ma abbattere diffusamente il fabbisogno energetico primario. Più tempo per poter essere più ambiziosi e fare meglio, programmando. Le famiglie che si troveranno a dover fare i conti con un corposo adeguamento energetico saranno chiamate a doversi muovere su un terreno complesso e da esplorare. Non ha aiutato inoltre mettere nero su bianco date così ravvicinate. Ma a prescindere, pensiamo al risparmio che potrebbe garantire, ad esempio, efficientare gli edifici sul lungo periodo.

Che valore potrà avere per i cittadini?

Un duplice valore. Uno immediato, sul costo della bolletta: si potranno risparmiare fino a 3 mila euro l’anno. L’altro, invece, per la riduzione del consumo energetico collettivo che invita l’Italia ad acquistarne molto meno.

Come giudicate, invece, l’esperienza del Superbonus in materia?

Per 23 mesi è stata una sfida coinvolgente, ma col senno di poi notiamo che, guardando la normativa, c’è stato un errore a monte: si è garantito il bonus sulla base di un salto di sole due classi energetiche mentre sarebbe stato più importante indicare un livello minimo di riduzione dell’impatto energetico. Così facendo avremmo avuto un bonus molto più funzionale, un vero calo della bolletta energetica del Paese, un effetto minore sui conti pubblici con prospettive di proiettare tali risultati sui prossimi 5-10 anni. Questi obiettivi devono essere letti come di ampio respiro. Non bisogna incentivare una classe G, F, E per arrivare in D. Bisogna necessariamente essere più ambiziosi promuovendo ristrutturazioni profonde che portino ad una notevole efficienza energetica.

E sul fronte dei crediti incagliati?

Questo è sicuramente un tema ampio e pesante. Fortunatamente la nostra rete non sta vivendo questo problema riguardo i nostri crediti vecchi, ma abbiamo sofferto la componente di liquidazione dei crediti a causa degli elementi di confusione creati da sessanta interventi tra legislatore, Agenzia delle Entrate e via dicendo.

Vuol dire due o tre correttivi al mese per due anni, in un clima di crescente incertezza.

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