Aznar: «Berlusconi ha governato bene l’Italia»

nostro inviato a Cernobbio (Como)
Ieri mattina José Maria Aznar non ha potuto fare la sua abituale seduta di jogging nei giardini del Grand hotel Villa d'Este. «Giro troppo, così finisce che dimentico l'attrezzatura a casa», si rammarica l'ex primo ministro spagnolo, anche quest'anno tra gli ospiti d'onore del Workshop Ambrosetti, prima di iniziare l'intervista concessa in esclusiva al Giornale.
Signor presidente, mi permetta un piccolo balzo storico, tornando al 1996, quando lei divenne premier per il primo dei suoi due mandati. Da quell'anno la Spagna registrò una crescita economica e sociale strabiliante, con un aumento medio annuo del Pil del 3,4% e uno complessivo del 64% in otto anni. Quel miracolo brilla ancora?
«Sì, l'energia lasciata è molto forte e posso dire che il mio governo ha dato alla Spagna il periodo più ricco di tutta la sua storia. Penso anche che sia difficile, oggi, lavorare per migliorare quel risultato. Certo, non si può restare a guardare, perché l'economia ha un bisogno continuo di interventi, di misure, di riforme. Riforme fiscali, riforme liberali, riforme che vanno verso una maggiore apertura».
Lei che ci è riuscito centrando al tempo stesso le dure condizioni del Patto di stabilità come giudica ora quella «gabbia» normativa. Si tratta, come dice qualcuno, un potenziale ostacolo allo sviluppo?
«No, il Patto di stabilità ha rappresentato un passo positivo per l'Europa, perché non tenere sotto controllo il deficit è una strada che può risolvere una situazione per l'oggi, ma che crea problemi per il domani. La stabilità economica è una base fondamentale per lo sviluppo e la prosperità di un Paese, per farlo crescere più forte e più sano».
A sé quali meriti riconosce, principalmente?
«Due. Aver saputo dire agli spagnoli che erano in grado di mirare più in alto, che ne hanno la capacità, ridando così loro fiducia. E poi... aver saputo governare. Decidere, insomma, non parlare. Tutto qui, molto semplice».
Guardando il suo Paese da un osservatorio internazionale, come può fare oggi da presidente del Faes (Fondazione per gli studi e le Analisi Sociali) e da relatore alla Edmund Walsh school della Georgetown university di Washington, come vede la Spagna rispetto a come l'aveva lasciata?
«Vedo tre gravi problemi. Il primo è il rischio di disgregazione nazionale. Sì, perché il governo Zapatero ha imboccato da un lato un processo di smantellamento dello Stato, mentre dall'altro ne ha iniziato uno di rafforzamento di tutte le tendenze contrarie al sentimento nazionale, alla nostra storia, ai nostri valori. Il secondo grave errore del governo attuale è di essere sceso a patti con i terroristi dell'Eta, con la conseguenza di aver indebolito lo Stato. Terzo, avendo fatto diventare il Paese più debole all'interno, lo ha reso ancor più fragile anche all'esterno. Perché la migliore politica estera è una forte politica interna. Ieri la Spagna decideva se prendere una posizione di prima linea come responsabilità internazionale, con la discussione se entrare oppure no nel G8. Oggi invece ci dobbiamo preoccupare del fatto che l'Andalusia sia una nazione, che lo sia la Catalogna, che lo siano i Paesi Baschi così come la Galizia. E ci dobbiamo preoccupare anche del fatto che i terroristi tornino nelle istituzioni».
Visto che è in Italia, come giudica l'operato dell'attuale governo di centrosinistra?
«Tutti i Paesi devono attuare le riforme, ma quando io vedo una coalizione composta da sette forze politiche, be’ allora io penso che non si tratti di una coalizione “per” ma di una coalizione “contro”, strutturalmente incapace di perseguire un'idea o un interesse comune».
Ha nostalgia del suo amico Silvio Berlusconi?
«Ha usato la parola giusta, lui è davvero un grande amico. Ma per fortuna riesco a parlargli molto spesso».
Qual è stato il merito maggiore di Berlusconi al governo?
«Aver regalato all'Italia una manifestazione di speranza, di responsabilità internazionale. Mentre lui, come premier, ha dimostrato grande determinazione, senso della responsabilità, capacità di sostenere posizioni difficili anche quando non erano necessariamente popolari. Perché questo, e soltanto questo, significa governare».
Ora la Spagna, come l'Italia, ha un governo di sinistra. Come giudica l'operato del suo successore?
«Zapatero ha commesso errori gravissimi: ha indebolito il Paese, lo Stato, e ha aperto la porta a tutti i nazionalismi. Ma il peggio è che il suo è un governo settario, di sinistra radicale, che pretende di riscrivere la storia della Spagna e della democrazia per inventarsi una storia differente».
Storia differente in cui rientra anche il riconoscimento delle unioni gay?
«Guardi, io dico che una cosa è il riconoscimento dei diritti delle unioni omosessuali e un'altra cosa il considerare una unione omosessuale come un matrimonio. Io rispetto l'unione omosessuale, ma non sopporto l'idea che questa possa essere considerata come un matrimonio tra uomo e donna».
Eppure, su un giornale della sinistra italiana, Zapatero si è detto sicuro che quella legge è destinata a durare anche con un governo di centrodestra...
«Non sono al governo, ma penso proprio di no, perché sicuramente il Partito popolare modificherà quella situazione. Ripeto, è una questione di denominazione: l'unione gay è una cosa, il matrimonio è il matrimonio».
Giudica quindi anche lo zapaterismo come un'esperienza passeggera?
«Senz'altro, perché non ha radici nel Paese, perché è stata tutta una questione “pubblicitaria”, mediatica, ma senza sostegno ideologico.

Non dimentichiamo che i vecchi comunisti, in Europa, sono prima diventati socialisti, e da socialisti a socialdemocratici, da socialdemocratici a progressisti, e infine, da progressisti...»
Che cosa sono diventati, presidente?
«Niente. E niente è la sola risposta che può dare Zapatero».

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