Ci vuol poco, a Charles Aznavour, per dimostrare di essere di un'altra categoria. Non il repertorio, praticamente inestimabile. Non la carriera, iniziata quando Franklin Delano Roosevelt entrava alla Casa Bianca. Ma le risposte. Aznavour ha 93 anni abbondanti, eppure risponde con la curiosità e la cortesia di un giovane esordiente.
«La mia carriera non dura da 70 anni, come spesso si dice, ma da oltre 80, visto che la mia prima volta sul palco fu nel 1933 quando avevo 9 anni», spiega in attesa del suo concerto del 13 novembre agli Arcimboldi di Milano. Piccolo, minuto, educatissimo, con quel gusto tipicamente française di vestire tenui tinte pastello, è rimasto l'ultimo testimone di un'epoca nella quale le canzoni erano il diario di una generazione e il biglietto da visita per quelle successive. «Purtroppo carriere come la mia o come quella di Sinatra, Julio Iglesias o i Rolling Stones sono destinate a diventare cose del passato. Oggi il pubblico si annoia presto e se un artista dura già cinque anni, tutti sono impressionati».
Aznavour non ha rispettato il limite. Il suo sogno è iniziato mentre i genitori se lo portavano dietro nei teatri parigini ed è diventato realtà quando Edith Piaf lo volle con sé in tournée anche dall'altra parte del mondo. Poi divenne la star dell'Olympia e in pochi anni ecco «Aznavoice», la risposta francese a Frank Sinatra, con il quale ha diviso molta ispirazione salvo il jazz e il whisky. Oggi magari non si hanno più i contorni esatti di Aznavour perché si è ormai spalmato nella leggenda, ma nessun cantante europeo è stato così universale. Per la qualità della voce. E per la trasversalità delle canzoni. E non è un caso se nel 1998 il Time (mica bruscolini) l'ha nominato «miglior cantante del secolo» con tanto di copertina che lui, orgoglioso come sa esserlo soltanto chi ha faticato sul serio, ha appeso sopra il pianoforte nel suo salotto della villa L'Aigo Claro in Alta Provenza. Fuori dalla finestra, quattrocento ulivi. Dentro, un secolo di musica.
«Ma non ho segreti, ho buoni geni e non sono mai inciampato in eccessi». E non ha quasi mai incrociato scandaletti e paparazzi: «Fellini li ha raccontati a tutto il mondo, ora tutti sono paparazzi con un cellulare». Pungente e informato. Dopotutto, se fosse traballante e malconcio, non potrebbe tornare in concerto dopo aver finito un tour mondiale e aver appena raccolto anche una stella sulla Walk of Fame («Sono il primo cantante francese a conquistarla»). «A Milano canterò poche nuove canzoni perché il resto sarà composto dai brani che tutti si aspettano». D'altronde, il pubblico va ad ascoltarlo soprattutto per quelli e «a differenza di molti miei colleghi, io ho capito che senza pubblico non esistiamo». Canterà anche dieci o dodici canzoni in italiano, come sempre. In fondo, Aznavour canta agevolmente in sei lingue ed è stato cantato in almeno sessanta, visto che tantissimi in giro per il mondo hanno interpretato i suoi brani. Ad esempio, Laura Pausini: «La sua versione di She è favolosa, una delle migliori delle circa duecento versioni che ho ascoltato di quel mio brano».
Il bello di Aznavour (300 milioni di dischi venduti) è che fa ciò che gli piace. «Una volta ho pensato di ritirarmi, soprattutto per far contenta mia moglie. Ma dopo una settimana lei si è accorta che io sembravo in una gabbia e così mi ha detto: Sai che c'è? Penso che tu debba tornare a fare il tuo lavoro. Ho eseguito l'ordine e non avrei potuto prendere decisione migliore!». Da allora ha pubblicato un bel po' di dischi, tenuto innumerevoli concerti e tuttora, dice, «scrivo canzoni ogni giorno, ho due album già pronti con almeno 40 brani in scaletta». In sostanza, una macchina inarrestabile che, dopo aver partecipato a un'ottantina di film, ha deciso almeno di smettere con il cinema: «Ho difficoltà a ricordarmi le parti e non voglio finire come Marlon Brando, che se le faceva scrivere sulla lavagna oppure su fogli appesi agli altri attori».
Però continua ad ascoltare musica e gli piace persino il rap, ossia l'antitesi del suo repertorio: «Lo amo, alcuni testi sono ben scritti e rappresentano la voce di una generazione».Detto da un signore educato e leggendario che a 93 anni non ha ancora intenzione di invecchiare.
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